Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2013 alle ore 16:55.

My24

ROMA, 8 ottobre 2013

Onorevoli Parlamentari,
nel corso del mandato conferitomi con l'elezione a Presidente il 10 maggio 2006 e conclusosi con la rielezione il 20 aprile 2013, ho colto numerose occasioni per rivolgermi direttamente al Parlamento al fine di richiamarne l'attenzione su questioni generali relative allo stato del paese e delle istituzioni repubblicane, al profilo storico e ideale della nazione. Ricordo, soprattutto, i discorsi dinanzi alle Camere riunite per il 60° anniversario della Costituzione e per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. E potrei citare anche altre occasioni, meno solenni, in cui mi sono rivolto al Parlamento. Non l'ho fatto, però, ricorrendo alla forma del messaggio di cui la Costituzione attribuisce la facoltà al Presidente.

E ciò si spiega con la considerazione, già da tempo presente in dottrina, della non felice esperienza di formali "messaggi" inviati al Parlamento dal Presidente della Repubblica senza che ad essi seguissero, testimoniandone l'efficacia, dibattiti e iniziative, anche legislative, di adeguato e incisivo impegno.
Se mi sono risolto a ricorrere ora alla facoltà di cui al secondo comma dell'articolo 87 della Carta, è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza.

Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Quest'ultima, con la sentenza - approvata l'8 gennaio 2013 secondo la procedura della sentenza pilota - (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l'Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica "proibizione della tortura", pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati.

La Corte ha affermato, in particolare, che "la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone" e che "la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione".

Per quanto riguarda i rimedi al "carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario" in Italia, la Corte ha richiamato la raccomandazione del Consiglio d'Europa "a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria".

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi