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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013 alle ore 14:00.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2013 alle ore 14:30.

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Due anni di interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi. E' questa la decisione della Corte d' Appello di Milano, che ha accolto la richiesta avanzata questa mattina dal procuratore generale Laura Bertolé Viale nel corso del processo-bis chiesto dalla Cassazione per ridefinire il periodo di interdizione dell'ex premier condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione per frode fiscale.

La difesa aveva invece chiesto, attraverso l'avvocato Niccolò Ghedini, il minimo della pena (un anno). La difesa dell'ex premier aveva anche chiesto alla corte d'appello di sollevare presso la Consulta la questione di costituzionalità dell'articolo 13 della legge numero 74 del 2000 nella parte in cui prevede che non si applicano le pene accessorie previste dall'articolo 12 se è intervenuta un'adesione all'accertamento fiscale. Entrambe le richieste non sono state accolte.

L'avvocato Niccolò Ghedini ha infatti spiegato che, per chiudere il contenzioso con il fisco, Mediaset ha presentato a settembre domanda di adesione all'accertamento dell'Agenzia delle Entrate che aveva contestato il mancato pagamento di imposte nella vicenda dei diritti tv per la quale Berlusconi è stato condannato. Mediaset ha pagato al fisco circa 11 milioni di euro per gli anni 2002-2003. Secondo Ghedini, nella sentenza di condanna dell'ex premier, la Cassazione ha stabilito che negli anni successivi a quelli per i quali è stata accertata la sua responsabilità, Berlusconi non aveva nessun potere decisionale all'interno di Mediaset. Ma poiché una delle conseguenze dell'adesione all'accertamento fiscale è la decadenza delle pene accessorie, Ghedini ha sostenuto che si è in presenza di una disparità di trattamento tra i dirigenti Mediaset, che con l'adesione evitano la condanna all'interdizione dai pubblici uffici, e Berlusconi, che invece non può farlo non avendo avuto più un ruolo decisionale nell'azienda. Di qui la decisione di sollevare la questione di costituzionalità.

Un'altra contestazione presentata dalla difesa è stata quella relativa alla legge Severino, che prevede in caso di condanna l'interdizione e l'incandidabilità per un periodo fisso di sei anni. Ghedini ha quindi sostenuto che, poiché il Senato ha stabilito che la legge è in vigore, si è verificata una duplicazione di pene per lo stesso reato: i sei anni previsti dalla Severino e la pena da uno a tre anni prevista dall'articolo 12 della legge del 2000 sui reati fiscali. Per Ghedini, inoltre, la legge Severino non è retroattiva. L'avvocato del premier ha annunciato - dopo la lettura della sentenza - che presenterà ricorso in Cassazione: : «Ricorreremo sia sulla questione di costituzionalità sollevata sulla legge Monti-Severino sia sulla pena accessoria».

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