Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2013 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 08 novembre 2013 alle ore 08:11.

My24

Abbassando i tassi di interesse, la Banca centrale europea (Bce) di Mario Draghi ha mandato un doppio segnale, ai mercati ed alla politica: da un lato, la Bce è una banca centrale indipendente, la cui politica monetaria continua ad essere orientata alla stabilità, ma è attenta al rischio deflazione, per cui non ha paura di scontentarsi sia i falchi amanti della moneta che le colombe affamate di droga monetaria. Dall'altro lato, la politica della Bce continua a cozzare contro l'incapacità delle cancellerie nazionali e di Bruxelles di disegnare le uniche politiche nazionali ed europee efficaci per la crescita: quelle strutturali. Ma il perdurare dell'ignavia politica peggiora lo Stato dell'Unione, e riduce progressivamente la stessa efficacia ed equità delle politiche della Bce.

La Bce, abbassando i tassi di interesse, ha ieri compiuto un altro passo nella sua strategia di ritorno alla normalità, in un contesto macroeconomico in cui è ancora alta l'incertezza sulla robustezza e l'uniformità della crescita economica, sull'incidenza degli alti indebitamenti pubblici e privati, sulla capacità delle classi dirigenti di disegnare e definire politiche pubbliche credibili. Il ritorno alla normalità per la politica monetaria significa definire nella condotta della banca centrale una regola di comportamento che sia efficace, in quanto credibile.

La regola di Draghi ha un caposaldo: l'obiettivo principale della banca centrale deve essere la tutela della stabilità monetaria, rispetto ad ogni fonte di rischio. In generale, le fonti di rischio sono almeno tre.

Il rischio per cui è nata la politica monetaria unica è quello di difendere il potere di acquisto dei cittadini europei, rappresentato dal valore dell'euro, dalla tassa d'inflazione, che colpisce in modo illegittimo - non è statuita da alcun Parlamento - ed iniquo - tende a danneggiare maggiormente i cittadini più poveri e/o meno istruiti. La difesa dell'euro contro il rischio inflazione è stata un successo.

Ma poi, a partire dalla crisi greca e passando da quella di Cipro, abbiamo imparato che difendere la stabilità significa anche affrontare il cosiddetto rischio da ridenominazione, ovvero - più efficacemente - da sparizione della moneta. La sparizione di una moneta è un evento traumatico - non solo economico - in quanto mette in moto meccanismi di redistribuzione del reddito e della ricchezza solo in parte prevedibili; inoltre, anche in questo caso ad essere più colpiti rischiano di essere i cittadini più deboli. Una economia di mercato che funzioni ha sempre bisogno di uno strumento, con un valore stabile, che possa essere utilizzato come mezzo di pagamento. La moneta esiste solo se è credibile il suo valore, quindi ogni rischio di depauperamento del valore della moneta è una minaccia. Il rischio da ridenominazione è la minaccia mortale, rispetto al quale la reazione della Bce è stata decisa - il famoso «qualunque cosa accada» - e credibile. Da questo punto di vista, non bisogna sottovalutare la tossicità di tutte quelle proposte che vorrebbero vedere le banche centrali - anche la Bce - sempre più impegnate in attività ad alto rischio, dai titoli tossici all'impegno nei confronti del settore produttivo, direttamente o indirettamente. Per chi ha studiato un po' di analisi e di storia monetaria, è davvero semplice ricordare che quanto più il bilancio di una banca centrale si gonfia nelle dimensioni e nella rischiosità, tanto più crescono i rischi sulla credibilità della moneta che emette. Certo è un messaggio che non piace alle colombe della moneta sempre ed ad ogni costo.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi