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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 07:34.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:42.

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PORTO TORRES - Porto Torres, Italia. Una breve ricognizione nella zona industriale di questa città chimica e portuale distesa sul mare che si affaccia sull'isola dell'Asinara, equivale alla visita di un camposanto. Una successione di fabbriche morte con gli scheletri visibili corrosi dalla salsedine e quelli invisibili, 1.500 ettari di scorie chimiche, sotterrate prima dalla Sir di Rovelli e in misura minore dall'Enichem negli anni della protostoria industriale - tra '60 e '90 - perché così facevan tutti. Ad accompagnarmi è Eugenio Cossu, ex sindaco di Porto Torres, primo presidente del parco dell'Asinara dal '98 al 2004.

Alla nostra destra corre il porto e la sua banchina di 300 metri, lavori inutili, dice Cossu, perché il fondale di otto metri del porto commerciale non permette l'approdo di grandi navi da crociera, a sinistra, una dopo l'altra, la cementeria sbarrata da trent'anni e divorata dal vento del faccendiere Flavio Carboni, una fabbrica di laterizi che ha fatto la stessa fine, così come la Olchima, la Ferriera sarda, la Fabiani, montaggi industriali, e la Safisarda, sacchetti di plastica, che ha pensato bene di abbandonare Porto Torres e traslocare in Algeria.
L'elenco potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe solo un esercizio di autolesionismo. Cossu, che di mestiere fa l'agente marittimo, non gira attorno al problema: «Siamo sprofondati in un'economia di guerra: negli anni 70 movimentavamo 18 navi ogni 24 ore tra chimichiere e petroliere. Adesso, d'inverno, c'è solo un traghetto al giorno per Genova».

I numeri del tracollo sono eloquenti: in 20 anni si sono persi 12.500 posti di lavoro su una popolazione di 22.500 abitanti. L'Eni ha resistito più a lungo, ma poi è stata costretta ad alzare le mani. La sua controllata, Versalis, produceva prodotti chimici intermedi (stirenici, elastomeri, polietilene) ormai fuori mercato, con perdite al ritmo di 100 milioni l'anno. I dipendenti hanno seguito lo stesso andamento: megaristrutturazione e prepensionamenti massicci alleggeriscono i costi ma non li abbattono.
Serve un'idea. Di quelle buone e innovative. La chimica verde sembra uno slogan, ma ci sono incontri casuali tra persone in ruoli che possono generare cambiamenti radicali anche in un Paese immobile come l'Italia. Catia Bastioli, ricercatrice chimica, e Leonardo Maugeri, ai tempi presidente di Polimeri Europa, partoriscono l'idea di riconvertire Versalis di Porto Torres nel primo esperimento di fabbrica chimica che produca bioplastica. La leva è Novamont, la società che origina da una start up dei Ferruzzi e di Raoul Gardini, che nei lontani anni '90 ingaggia la Bastioli per impossessarsi di un business allora agli albori, le bioplastiche, che farà di Novamont il numero uno nella produzione di prodotti biodegradabili frutto di materie prime vegetali. La ricercatrice di Foligno è un treno lanciato alla massima velocità. E convince l'Eni della bontà del progetto.

Nasce così Matrìca, la joint venture tra Novamont e Versalis (Eni), il nome sardo del lievito madre, che si spartiscono il vertice: Catia Bastioli ceo, Daniele Ferrari presidente. Si arriva a Porto Torres per esclusione. All'inizio la Bastioli parte da sola. Il progetto prevede di produrre bioplastica attraverso la coltivazione del cardo o del girasole: dai semi si estrae un olio con il quale si possono confezionare prodotti fino a quel momento di origine sintetica. Servono però centinaia di ettari di terreno. L'acqua non è un problema, perché il cardo cresce pure su terreni pietrosi e climi siccitosi. I primi sondaggi a Caserta e in Umbria non approdano a nulla. Eni, nello stesso periodo, s'interroga su come sbrogliare la matassa di Porto Torres. Così scocca la scintilla della santa alleanza. Si mettono al lavoro il Cnr e l'Enea. E decidono di puntare sul cardo: intorno a Porto Torres ci sono centinaia di ettari di terreno incolti. Percorrendo la strada che unisce Porto Torres a Stintino scorrono 350 ettari coltivati a cardo, ricompensati da Matrìca con 180/200 euro all'ettaro. Un altro pezzo di economia che ricomincia a girare. A regime saranno 20 mila ettari.

Dalla spremitura dell'olio si produce l'acido azelaico, il mattoncino del polimero, e poi l'acido pelargonico dal quale nascono i biolubrificanti. Addirittura, dai semi del cardo si estrae un caglio vegetale ideale per i caseifici della zona che confezionano il pecorino. Con gli scarti della pianta si alimenterà una centrale a biomasse in grado di soddisfare la metà dell'energia, con l'abbattimento proporzionale della bolletta energetica, necessaria a far girare l'impianto che si sta costruendo in questi mesi. Valore dell'investimento: 500milioni. Addetti a regime: 680 sul finire del 2014. Ma a Porto Torres, malgrado i lavori procedano a passo di carica, le lagnanze non si placano. Si teme che la centrale a biomasse possa bruciare rifiuti solidi urbani per moltiplicare l'energia prodotta (ipotesi che Matrìca smentisce recisamente); si agita lo spettro, malgrado i terreni siano incolti, dei rischi connessi alla monocoltura del cardo; si lamenta che 700 addetti non possano assicurare il ritorno all'Enichem dei tempi d'oro.

La Bastioli taglia corto: «C'è una grande e ingiustificata diffidenza attorno a questo progetto. Ma noi andiamo avanti per la nostra strada. L'obiettivo è quello di diventare i leader mondiali delle bioplastiche. Non saranno certo i vittimismi e le critiche a rallentare i nostri piani. Matrìcà esprime la concezione di un sistema totalmente compatibile con l'ambiente, non semplicemente un prodotto». E sulla compatibilità ambientale impossibile non citare l'isola dell'Asinara (si veda l'articolo sotto), che occupa metà del territorio di Porto Torres. Le bioplastiche sommate alle bellezze di questo scrigno ricco di biodiversità, a lungo abbandonato e immiserito dal carcere di massima sicurezza, sono propellenti in grado di far rinascere l'economia di qualsiasi luogo. A patto che si mettano a fattor comune due patrimoni che sono uno la prosecuzione quasi naturale dell'altro.

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