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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2013 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:46.

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La ripresa delle vendite di partecipazioni azionarie e di beni immobili dello Stato e di Enti locali pare certa. Per evitare di farlo per dogmi liberisti, consideriamo le finalità e le strategie anche per il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. La stessa è un'azienda privata di mercato pur essendo posseduta dallo Stato all'80% e perciò è sbagliato dire che cessioni di partecipazioni alla Cdp non sono privatizzazioni o addirittura dire che sono mere partite di giro a carico del contribuente.

Lo conferma anche il fatto che sono considerate privatizzazioni le vendite di asset pubblici alla Cdp tedesca (KfW), detenuta al 100% dallo Stato ma considerata una "market Unit" (come la nostra Cdp) dalle Istituzioni Comunitarie. Per questo né la Cdp né la KfW sono consolidate dentro i debiti pubblici. Sono temi sui quali ci siamo spesso intrattenuti su queste colonne anche in relazione alle infrastrutture.
Finalità: tagliare il debito. Le privatizzazioni dovrebbero contribuire alla riduzione del nostro debito pubblico giunto a 2.000 miliardi di euro con un onere di interessi che nel 2013 si aggira sugli 84 miliardi. Considerato che l'Italia ha privatizzato partecipazioni societarie per 157 miliardi dal 1985 al 2012 compresi, con un massimo annuo nel 1999 di 25,07 miliardi, è chiaro che questa finalità da sola non basta. Dal 2006 al 2012 le privatizzazioni italiane sono scese a 9,5 miliardi più i 10 miliardi derivanti dalla vendita di Sace, Fintecna e Simest a Cdp nel 2012.

La Ue nel 2012 e nel primo semestre 2013 ha privatizzato in proporzione meno di noi: solo 28,5 miliardi di euro pari al 19,9% che è meno della metà della quota europea di lungo periodo su quella mondiale (come certificano le analisi della Fondazione Eni-Mattei e della Kpmg).
La Ue sconta dunque una scarsa attrattività/disponibilità di capitali causata dalla recessione europea. Quindi il tema delle privatizzazioni dovrebbe entrare nell'agenda di politica economica della Ue che senza crescita potrà svendere più che privatizzare.
D iverso è il tema delle migliaia piccole-medie imprese italiane di servizi pubblici locali. Qui ci sono spazi notevoli sia per privatizzare che per gestire in modo più efficiente perché i capitali richiesti sono minori e quindi ci sono più potenziali acquirenti e perché troppo spesso le stesse sono appannaggio di ceti politici locali. Su queste colonne Alberto Orioli ha parlato di una "multinazionale della partitocrazia " e di "socialismo municipale".
Per la riduzione del debito pubblico cruciale è inoltre la vendita del patrimonio immobiliare pubblico (purchè non espressione dell'identità italiana e non funzionale all'esercizio di servizi pubblici) che è stimato a valori di mercato 2011 tra i 239 e i 319 miliardi (di cui un 27% vendibile) a cui vanno aggiunti terreni tra i 19 e i 49 miliardi. Il fatto che questi beni siano di singole minori entità rispetto alle partecipazioni rende più urgente la loro vendita perché essi si deteriorano e talvolta vengono sfruttati abusivamente. Per venderli bisogna valorizzarli tramite i fondi di investimento dedicati come Invimit Sgr detenuto al 100% dal Mef, come Fiv plus e Fia (per l'edilizia privata sociale dove ci sono enormi necessità) della Cdp. Il fatto che gran parte dei beni sia degli enti locali non impedisce di ridurre, con la loro vendita, deficit e debiti.

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