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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2013 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:04.

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I controlli sanitari sulle materie prime importate sono così estesi e penetranti da rendere sicuro il prodotto alimentare trasformato in Italia: parola di Silvio Borrello, direttore generale del ministero della Salute. Borrello mette in guardia dal sollevare polveroni mediatici. «I controlli alle frontiere e prima dell'immissione delle merci nella libera circolazione – sostiene – sono talmente efficaci, sia per le merci in arrivo dai paesi comunitari che da quelli terzi, da garantire un elevato livello di sicurezza».

Peraltro se qualche partita extra Ue "irregolare" dovesse bucare il sistema dei controlli a campione «le 15 partite successive di quelle merci – sottolinea Borrello – verrebbero bloccate in dogana e sottoposte a controlli analitici di laboratorio». Il manager pubblico ricorda che lo slogan comunitario "controlli dal campo alla tavola" è stato copiato dal sistema italiano.
Le incertezze e i dubbi legati alla qualità all'import delle materie prime sollevati da Coldiretti subiscono un colpo durissimo. Ancora ieri Coldiretti ha ribadito che durante il presidio del Brennero «su 170 Tir, il 27% trasportava prodotti alimentari stranieri destinati a essere venduti come made in Italy. Appesi migliaia di cosce di maiale e cassette di semi-lavorati pronti per diventare falsi prosciutti e salumi di bassa qualità». E nei giorni scorsi l'organizzazione verde ha sostenuto che i suini allevati in Germania o in Olanda sono gonfi di antibiotici o alimentati con sottoprodotti.

Borrello dice: «I Paesi Ue seguono le stesse regole sanitarie italiane: controlli di veterinari pubblici. Rispetto agli altri 28 Paesi Ue, in Italia abbiamo uffici ad hoc, Uvac, che eseguono sui prodotti di origine animale (carni, latte e formaggi ndr) ricerche di salmonella e contaminanti». E gli antibiotici? «Gli animali non possono essere macellati se non passa un certo periodo di tempo: vale anche la dichiarazione del produttore che, in caso di dichiarazione mendace, si espone al penale». Quanto ai residui identificati «in Italia siamo molto al di sotto della media europea». Gli importatori dai Paesi extra Ue invece sono iscritti in un elenco e garantiscono (con controlli periodici) gli stessi standard sanitari della Ue. Ma come spiegare allora il caso della carne di cavallo? «Una partita di carni equine congelate dell'Est – ammette Borrello – è stata inserita in altre di bovini congelati: hanno sfruttato una spiraglio nel sistema dei controlli. La frode è sempre in agguato ma la sicurezza alimentare in Italia è garantita».

E gli imprenditori? Nel dolciario «gli ingredienti – osserva Alberto Balocco, ad del gruppo omonimo – come il cacao e il caffè li possiamo acquistare solo in Costa d'Avorio, in Brasile e in pochi altri Paesi. In Italia non abbiamo un metro di queste coltivazioni. Quasi lo stesso discorso vale per lo zucchero: dopo la dismissione degli zuccherifici in Italia, per volere della Ue, gli approvvigionamenti sono realizzati in buona parte all'estero. Ciò detto i controlli sulla qualità degli ingredienti che arrivano in azienda sono totali». Secondo Balocco, per i prodotti di prima trasformazione, come per esempio, olive e carni, è ammissibile una provenienza d'origine ma «per il dolciario che si approvvigiona su mercati diversi, a seconda della disponibilità, pensare di variare continuamente le etichette è un esercizio improponibile oltre che molto dispendioso».
Anche Massimo Menna, ad di Pasta Garofalo, sottolinea che «di grano in Italia non c'è n'è abbastanza da soddisfare la domanda delle imprese e la pasta italiana è famosa nel mondo per l'abilità dei pastai. Acquistiamo le migliori materie prime in Italia e su vari mercati internazionali e non dimentichiamoci che il grano che viene dall'estero subisce un controllo sanitario in più alle dogane rispetto a quello acquistato in Italia. Il protezionismo sarebbe estremamente dannoso per il made in Italy».

E l'etichetta d'origine? «Non è tecnicamente possibile – risponde Menna – oltre che non richiesto dalla legge. Potrebbe essere addirittura fuorviante per il consumatore. Poi tutte le aziende serie hanno la tracciabilità delle materie prime».
Ferdinando Salzi, ad di Sterilgarda, si sofferma sul latte importato da Germania e Austria: «Producono un ottimo latte come quello italiano. Noi utilizziamo per il 70% latte italiano ma non possiamo escludere l'Europa dal nostro orizzonte».
Massimo Romani, dg dei Grandi Salumifici Italiani, sente puzza di autogol. «La provenienza d'origine – sostiene – non è drammatica, si può anche fare. Ma scrivere in etichetta che l'espresso italiano è il prodotto del caffè verde brasiliano o vietnamita oppure che la pasta di Gragnano contiene grano russo o canadese credo che non faccia bene al made in Italy. Si diluirebbe il concetto di italianità del prodotto e ci faremmo del male da soli. Anche agli agricoltori italiani». Per questo a Romani sfugge quale sia l'obiettivo di Coldiretti. Grandi Salumifici Italiani ha impostato un tema di italianità della materia prima: «A gennaio lanceremo anche una linea di affettati 100% italiana – annuncia Romani – ma non è possibile puntare solo sulla produzione nazionale: si consumano 25 milioni di maiali equivalenti contro una produzione di 12. L'import è necessario e noi lo facciamo da Germania, Danimarca, Francia e Olanda. Escludendo l'Est».

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