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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2013 alle ore 11:34.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2013 alle ore 15:32.

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La recente indomabile crisi ha definitivamente portato al governo della globalizzazione nuove ambigue élite economiche, le quali si sono andate via via imponendo con alterne priorità alle élite politiche.
Politica ed economia, insieme con capitalismo e democrazia, diritti, interessi e privilegi, hanno da qualche tempo subìto pericolose e devastanti derive, le quali ne hanno intaccato i valori fondamentali. Il cittadino è stato così degradato a protagonista ignaro nel teatro di un mondo governato da registi, "ignoti sovrani". Questa realtà ha purtroppo favorito un'invasata estraneità e un incosciente distacco del cittadino nei confronti della politica e dell'esercizio dei suoi diritti, cosicché l'impeto mediatico di un becero populismo va sempre più favorendo gli "ignoti sovrani".

Una scossa, sia pur estremamente tardiva, a tentare di risvegliare, nel nostro Paese, una democrazia politica, istituzionalmente in coma, è giunto dalla recentissima sentenza della Corte Costituzionale, che ha finalmente bocciato una legge elettorale antidemocratica, con l'adatto nome di "Porcellum", invitando il Parlamento a rifare una legge elettorale in grado di restituire ai cittadini i loro diritti politici e democratici. Pur con tutte le riserve del caso, è una forte spinta - da parte della Corte Costituzionale che come le altre istituzioni del nostro Stato è rimasta sovente assente - contro il disinteresse verso la politica, spinta diretta soprattutto ai giovani, indotti quotidianamente a sottovalutare il loro fondamentale diritto di voto ed il loro ruolo politico.

Tuttavia, una parte meno occulta degli ignoti sovrani sta emergendo con estrema importanza e qualche trasparenza. È la nuova aristocrazia delle banche centrali, quelle che avevo qualche mese fa individuato su questo giornale come "i nuovi alchimisti". Le banche centrali sono divenute sempre più determinanti nell'economia dei vari Paesi e nella vita di ciascuno di noi. E ciò è avvenuto con una sorta di automatismo, questo certamente non sempre trasparente, ma confermato dalle soventi ambigue clausole statutarie, che indicano come funzione principale delle banche centrali il controllare, o meglio nevroticamente tenere a bada, l'inflazione - oggi considerata corretta sotto il limite del 2% - ideologicamente ritenuta il peggior male dell'economia. Si tratta tuttavia di un'ideologia decisamente antiquata, poiché il maggior problema che questa nuova aristocrazia deve affrontare, quanto meno nei Paesi meno poveri, è che l'inflazione è troppo bassa (con una media Ocse inferiore all'1,5% e 1,2% negli Usa), con conseguente irrimediabile caduta dei prezzi, scomparsa degli investimenti e aumento della disoccupazione. Ne è conferma la recentissima dichiarazione di Christine Lagarde, presidente dell'Fmi, che questa situazione ha avvantaggiato grandemente le banche a danno delle imprese.

Un primo importante cambiamento di rotta è preannunciato a breve dalla grande banca centrale americana, la Federal Reserve (Fed), che per decenni è stata il maggior sovrano della politica economica e mondiale dai tempi di Bretton Woods. Ebbene, dopo un'importante immissione di moneta nel sistema, oltre che coi tassi di interesse sempre più vicini allo zero e con l'abbondante acquisto dei titoli di Stato, che ha invero finora favorito il sistema bancario palese ed occulto ("Shadow banks"), sembra vicino un radicale cambiamento. La politica della Fed pare pronta a cambiare rotta a breve con l'entrata in carica, in sostituzione di Ben Bernanke, il 1° gennaio 2014, con Janet Yellen. L'attenzione si sta spostando dalla nevrosi inflazionistica all'opportunità di porre in essere decisivi stimoli per la crescita, considerato che fra l'altro il tasso di disoccupazione è diminuito al 7%, cioè al livello più basso degli ultimi cinque anni, e si è affiancato a un contemporaneo consistente aumento del Pil, dovuto alla produzione.

Su una scia solo parzialmente analoga, ma sostanzialmente diversa, pare presentarsi la situazione giapponese. Haruhiko Kurada, il governatore della Bank of Japan, ha di recente dichiarato che la banca centrale è pronta a una fase monetaria di quantitative easing, per facilitare la nuova politica del governo Abe, al fine di uscire definitivamente da quindici anni di penosa deflazione, aumentando finalmente i salari e incoraggiando spese ed investimenti.

Con specificità particolari dovute a una politica monetaria e bancaria autonoma, che più di ogni altra è influenzata dalla finanza globale, si presenta la situazione del Regno Unito, che sta attraversando una fase di ripresa sia pure accompagnata da vari timori.
S'innesta peraltro pesante nella operatività delle banche centrali lo sviluppo tecnologico dei mercati, nonché la considerazione che tutti gli operatori, dalle grandi banche agli Hedge funds e ai fondi di ogni altro genere, nonché i prodotti finanziari, sono per loro natura sempre più internazionali e internazionalmente operano. Ed è questa stessa tecnologia che ha tolto credibilità alle pretese scientificità delle élite economiche, soppiantate dai matematici, dagli ingegneri ed ora persino dai fisici, come tante altre volte ho già ricordato.

È pur vero, giova ripeterlo, che gli animal spirits degli imprenditori difficilmente possono essere racchiusi in un algoritmo ed è bene ricordare alle élites che la durata del loro potere è limitata, in ragione di quel che ha sostenuto Pareto che: "la storia è un cimitero di aristocrazie". Ed è proprio la combinazione fra internazionalizzazione e tecnologia a tenere anche gli alchimisti delle banche centrali in continuo ambiguo rapporto con la politica dei singoli Stati, nei confronti della quale rivendicano spesso, a torto o a ragione, la loro indipendenza.

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