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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 14:40.
L'ultima modifica è del 15 dicembre 2013 alle ore 14:41.

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La Web tax divide il Pd. «Dalla nuvola digitale siamo passati alla nuvola nera di Fantozzi». Matteo Renzi, parlando all'assemblea del partito, non ha risparmiato critiche alle mosse del suo partito nella commissione Bilancio presieduta da Francesco Boccia. «Abbiamo infilato un problema peggio dell'altro, sarebbe bello se si riuscisse a mofidicare le regole del gioco: l'Agcom chiude un sito senza passare da un giudice ma anche il fatto che la web tax va posta nel luogo centrale, l'Europa, e non con una violazione dei trattati europei o diamo l'impressione di un Paese che rifiuta l'innovazione». (Redazione online)

di Marco Mobili e Giovanni Parente
Web tax a doppia morsa. Non solo l'obbligo di acquisto di pubblicità o servizi di e-commerce da operatori con partita Iva italiana ma anche un calcolo del reddito da tassare in Italia basato non sui costi sostenuti ma su altri indicatori di profitto. A questo si aggiunge il vincolo di tracciabilità nei pagamenti di servizi pubblicitari sulla rete.
I due emendamenti alla legge di stabilità (entrambi proposti dal Pd) approvati in commissione Bilancio alla Camera puntano a stringere il cerchio sugli utili realizzati in Italia dai big di internet come Google, Amazon o Facebook, ma per lo più imputati a società con sede in Paesi a prelievo tributario più vantaggioso (per esempio l'Irlanda).

Difficile stimare il nuovo modello di tassazione ma c'è chi ha messo nel mirino fino a quasi un miliardo di euro. Il valore del mancato gettito per le casse dell'Erario era stato calcolato – sulla base di una ricerca Nielsen sul mercato pubblicitario online – nel passaggio alla Camera della delega fiscale (ora all'esame del Senato) in cui è stato introdotto un principio per delineare una regolamentazione del prelievo fiscale sulle internet company. Ora, invece, l'emendamento con primo firmatario Edoardo Fanucci, ma sostenuto anche da Sel e Svp, stabilisce che l'acquisto di servizi di e-commerce, di pubblicità online e di link sponsorizzati avvenga sempre da soggetti con partita Iva italiana.

In pratica, se diventerà legge, l'inserzione, anche tramite centri media o l'intermediazione di terzi, andrà venduta solo da imprese con regolare partita Iva italiana. Così si cerca di arginare il problema che il traffico pubblicitario italiano viene sempre più acquistato all'estero da operatori stranieri, i quali, a loro volta, vendono dall'estero. Una fuga di risorse legata alla pubblicità che pur se "messa in rete" sul mercato italiano alla fine è fatturata fuori dai confini nazionali. Il Fisco italiano, quindi, non viene a conoscenza dell'operazione e ancor peggio non incassa un euro di tassazione.

L'emendamento Fanucci-Carbone nasce dalla proposta del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, presentata nei mesi scorsi a Montecitorio suscitando però non pochi malumori e perplessità. Anche all'interno dello stesso gruppo Pd: Giampaolo Galli e Marco Causi, ad esempio, mercoledì ottenendo l'accantonamento dell'emendamento sulla web-tax hanno sottolineato il rischio di incompatibilità con le norme Ue e del Wto. Dubbi che ripropone con forza Scelta civica. La web tax approvata «è destinata a essere disapplicata per incompatibilità rispetto alla disciplina europea» e rischia di «creare un buco di bilancio quando le spese non saranno coperte dalle entrate che inevitabilmente non ci saranno», sottolinea il vicepresidente della commissione Finanze di Montecitorio, Enrico Zanetti, che però riconosce la necessità di porre la questione «nelle sedi competenti e con gli strumenti giusti».

E l'American chamber of commerce in Italy sottolinea «la contraddizione tra le finalità di questi emendamenti, dal vago sapore protezionista, rispetto agli scopi di apertura e incremento dell'attrattività del Paese contenuti nel piano Destinazione Italia». Mentre sia Francesco Boccia sia i due primi firmatari delle proposte parlano di interventi di «equità fiscale» che garantiscono lo stesso trattamento sia alle imprese italiane che alle multinazionali straniere.

La web tax all'italiana poggia, però, anche su un altro pilastro, contro cui le obiezioni di compatibilità con le regole Ue potrebbero trovare meno appiglio. L'emendamento di Stefania Covello (Pd) approvato dalla commissione Bilancio punta a introdurre indicatori diversi dai costi per stabilire il reddito delle controllate italiane nelle operazioni con le capogruppo straniere in relazione alla raccolta di pubblicità online.

La proposta considera, di fatto, che nelle inserzioni su internet i costi sostenuti dalla società italiana possano essere poco rilevanti sia per le strutture organizzative ridotte sia per lavoratori occupati e mezzi impiegati. Per definire i criteri nel calcolo del reddito sarà possibile accedere al ruling, ossia una procedura concordata con l'agenzia delle Entrate. In più l'acquisto di pubblicità online dovrà essere pagato con bonifico bancario o postale o altri strumenti tracciabili, da cui risulti la partita Iva del beneficiario.

(articolo aggiornato alle 14,40)

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