Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2014 alle ore 08:58.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:39.
L'esperienza europea conferma. Il Trattato di Roma, che nel 1957 ha istituito il mercato comune, non ha distinto tra imprese statali e private, anche se vasti settori dell'economia (la maggior parte del carbone e dell'acciaio, e in molti Paesi del settore bancario) al momento erano nelle mani dello Stato. Il trattato ha stabilito le regole del mercato interno, che impedivano ai governi di dare alle loro società indebiti vantaggi.
Il divieto degli aiuti di Stato ha rappresentato un punto di svolta per l'Europa, perché ha costretto le aziende pubbliche ad operare su un piano di parità e, quindi, a diventare efficienti come le loro concorrenti nazionali o estere. Una volta che i politici locali non potevano più utilizzare le aziende di Stato per i propri fini, la maggior parte dei Paesi membri hanno deciso che avrebbero potuto anche privatizzare molte di esse. Il ridimensionamento del settore pubblico ha preso tempo, ma la direzione del processo non è mai stata in dubbio, perché i concorrenti nazionali e stranieri del settore pubblico ovviamente fornivano un forte sostegno politico in favore di uno stretta sorveglianza da parte della Commissione Europea sugli aiuti di Stato.
Anche in Cina la questione fondamentale oggi è quella delle regole in base alle quali operano le imprese statali. Invece di una privatizzazione su larga scala, sarebbe meglio limitare gli aiuti pubblici e dare ai concorrenti un supporto legale per richiedere un risarcimento se gli aiuti statali falsano la concorrenza.
L'area che ha attirato maggiormente l'attenzione è la finanza, e per buoni motivi. In gran parte del mondo avanzato, gli investimenti ammontano a poco più del 15% del Pil, rispetto a quasi il 45% della Cina. I mercati finanziari sono quindi ancora più importanti per la Cina che per gli Stati Uniti o l'Europa, e ci sono chiari segnali che in Cina la produttività degli investimenti sta diminuiemdo rapidamente.
Il fulcro delle riforme cinesi programmate per il settore finanziario - la liberalizzazione dei tassi di interesse - potrebbe non risolvere il problema. In linea di principio, tassi di interesse più elevati sui prestiti dovrebbero contribuire a ridurre gli investimenti eccessivi. Ma, in un sistema con molte garanzie pubbliche - spesso implicite -, non sono sempre le imprese più efficienti quelle disposte e in grado di pagare di più per contrarre prestiti. La liberalizzazione dei tassi di prestito potrebbe semplicemente comportare che le imprese con garanzie governative mettano fuori gioco quelle più piccole e più efficienti, con una conseguente peggiore allocazione del capitale. Ciò suggerisce che la liberalizzazione finanziaria potrebbe essere pericolosa fino a quando anche le imprese statali non siano soggette a un rigido vincolo di bilancio.
Il motore di crescita più potente dell'economia globale non ha bisogno semplicemente di "più mercato". È necessario un quadro normativo più forte per garantire che i suoi mercati massimizzino l'efficienza e il benessere sociale.
© PROJECT SYNDICATE, 2014
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia