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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2014 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:07.
A tre mesi dalle elezioni europee, che potrebbero dare una svolta decisiva all'errata politica di austerità che ha provocato recrudescenza della crisi economica, aumento di diseguaglianze, disoccupazione e povertà, la Commissione Lavoro e Affari Sociali del Parlamento Europeo ha bocciato le azioni della troika. La sua relazione, appena approvata a larga maggioranza, che passerà in aula il prossimo marzo, riguarda soprattutto i piani di salvataggio di Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro e, considerando i loro effetti disastrosi, chiede formalmente agli Stati membri e all'intera Unione di lanciare progetti di sviluppo per «combattere la disoccupazione e garantire la protezione sociale». Il relatore Alejandro Cercas, al termine della votazione, ha lamentato che: «il Parlamento europeo è stato completamente tagliato fuori dal processo decisionale , mentre i cittadini europei pensano che sia stata "l'Europa" ad aver agito, sicché essa non è vista come strumento di aiuto per uscire dalla crisi, ma come parte del problema».
L'incomprensibile indifferenza dei diversi governi degli Stati membri, vittime di pressioni populiste, che di tutt'altro si stanno occupando, piut-tosto che dell'avvenire dell'Europa, non si sono neppure resi conto che secondo il detto cinese – ripreso dal Financial Times – questa è stata la settimana, nella quale «il cielo e la terra hanno cambiato posto».
Gli Stati membri della Ue rimangono, è vero, nazioni distinte, ma il loro maggior peso e significato politico e culturale viene dal far parte dell'unico "SuperStato" che esiste al mondo. Di questa ignorata occasionale "fortuna", qualora non sia corrisposta da una pari "virtù", come avrebbe commentato Niccolò Machiavelli, non si potranno giovare a lungo, preferendo, in una sorta di cupio dissolvi, una reciproca disgregazione, un ignorante separatismo tribale, che porterebbero alla loro totale irrilevanza storica.
Ed è proprio forse, di fronte ad un possibile vicino sostanziale cambiamento della politica europea, che improvvisamente arrivano inaspettate bordate antieuropee dall'esterno e dall'interno. Il risultato della scorsa domenica del referendum svizzero sull'immigrazione è un gravissimo segnale antieuropeo che proviene, è vero, non da uno Stato membro, ma da uno Stato estraneo all'Unione, che tuttavia di essa ha, per il suo bene e spesso per il male degli altri, ampiamente beneficiato.
V iene così messa in questione la libera circolazione delle persone, che costituisce uno dei principi fondamentali dell'Unione Europea, legata alla Svizzera da 7 accordi bilaterali, fra i quali proprio quello sulla libera circolazione, entrato in vigore nel 2002, e insieme al quale anche gli altri potrebbero caducarsi.
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