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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 10:36.
L'ultima modifica è del 27 febbraio 2014 alle ore 22:01.

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Il Fondo monetario internazionale ha accolto la richiesta di aiuto dell'Ucraina. Siamo pronti a rispondere, ha fatto sapere il direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde. Aggiungendo che nei prossimi giorni una missione partirà per Kiev «per avviare un dialogo preliminare con le autorità». Un dialogo che non sarà facile, dal momento che la Lagarde ha subito fatto riferimento a riforme che in passato i governi ucraini non sono mai riusciti ad approvare. Ma ora Arseniy Yatsenyuk, il nuovo premier approvato mercoledì dalla piazza e nominato all'unanimità dal Parlamento, fa notare che un rapido accordo con il Fondo è cruciale per ridare stabilità alla grivna che giovedì, perso il sostegno della Banca centrale, è nuovamente precipitata del 7% sul dollaro, a 11,50. «Non appena avremo firmato un accordo con l'Fmi - ha detto Yatsenyuk alla Rada - il denaro tornerà e noi potremo stabilizzare il tasso di cambio».

Yatsenyuk non ha nascosto ai deputati la gravità della situazione, non solo finanziaria. «Il Paese è sull'orlo del collasso politico ed economico», ha detto il neopremier, promettendo di perseguire l'integrazione con l'Europa ma citando anche le minacce all'integrità territoriale del Paese. Kiev avverte Mosca: il presidente ad interim Oleksandr Turchinov ha dato ordine alle strutture di sicurezza di prendere «tutte le misure necessarie» a proteggere i cittadini ucraini. «Qualunque movimento dei militari della Flotta russa del Mar Nero in Crimea, fuori dalle zone prestabilite dagli accordi bilaterali - ha detto Turchinov - sarà valutato come aggressione».

La Flotta del Mar Nero «rispetta strettamente queste intese», ha risposto da Mosca il ministero degli Esteri. Ma intanto, mentre il presidente deposto Viktor Yanukovich riappare a Rostov-sul-Don dopo aver chiesto - e ottenuto - la protezione russa, lo scenario più temuto potrebbe materializzarsi in Crimea, ad alto rischio provocazioni. Nella notte, un gruppo di circa cinquanta uomini armati ha fatto irruzione nel Parlamento regionale e nella sede del governo di Simferopol, centro amministrativo della repubblica autonoma di Crimea. «Non avevano alcun segno che li identificasse», raccontavano i testimoni. Ma poco dopo, sul tetto del Parlamento è stata issata la bandiera russa. E più tardi, con i locali sempre controllati dalle milizie filo-russe, il Parlamento ha approvato la decisione di indire un referendum il 25 maggio prossimo - il giorno in cui Kiev ha fissato le elezioni presidenziali - sull'autonomia della repubblica.

All'episodio è seguito un rullare di tamburi di guerra, tra Mosca e Kiev. Il ministero degli Esteri russo ha fatto sapere che Mosca difenderà i diritti dei compatrioti «con forza e senza compromessi» mentre il ministero della Difesa russo ha ricordato che i caccia russi lungo i confini occidentali russi - dunque quelli con l'Ucraina - sono stati posti in allerta combattimento. La Nato lancia un messaggio a Mosca: «Sono preoccupato per gli sviluppi in Crimea - ha scritto il segretario generale Anders Fogh Rasmussen - . Sollecito la Russia a non intraprendere azioni che possano accrescere la tensione o creare equivoci». La Russia deve essere trasparente riguardo alle esercitazioni militari ai confini con l'Ucraina, ha fatto notare da Bruxelles il segretario Usa alla Difesa, Chuck Hagel, e deve evitare passi «che possano essere fraintesi in un momento tanto delicato». A Londra, in conferenza stampa a fianco di David Cameron, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha ricordato di aver avuto nei giorni scorsi da Vladimir Putin la promessa di lavorare insieme per mantenere l'integrità territoriale dell'Ucraina.

Ma un ulteriore elemento di tensione tra russi e ucraini è la ricomparsa di Yanukovich, che secondo quanto ha riferito il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski era stato convinto proprio da una telefonata con Vladimir Putin ad accettare l'accordo "di pace" che prevedeva elezioni presidenziali anticipate ma al termine di un percorso graduale, che gli avrebbe consentito un ruolo nella transizione. Quell'accordo, la sera del 21 febbraio, venne poi respinto dalla piazza, e il presidente deposto dal Parlamento, ma ora Yanukovich, in una dichiarazione consegnata alle agenzie russe, ribadisce di considerarsi ancora il presidente legittimo. «Io, Viktor Fjodorovich Yanukovich, mi rivolgo al popolo dell'Ucraina - dice - , mi considero ancora il legittimo capo dello Stato ucraino eletto dai cittadini ucraini in libere elezioni. Ritengo che non sia stato attuato l'Accordo firmato da me e dai leader dell'opposizione ucraina, in presenza di rispettati partner internazionali. Nelle strade di molte città del nostro Paese infuria l'estremismo. Contro di me e contro i miei collaboratori vengono indirizzate minacce di rappresaglia fisica. Sono costretto a chiedere alle autorità russe di garantire la mia sicurezza personale». E Putin ha accettato, dal momento che secondo le agenzie di stampa russe Yanukovich terrà una conferenza stampa venerdì pomerigio da Rostov, non lontano dal confine meridionale russo-ucraino.

Contro di lui il nuovo governo di Kiev ha emesso un mandato d'arresto internazionale: l'intenzione è farlo giudicare dalla Corte penale dell'Aja per la strage di cui si è reso responsabile la settimana scorsa, i cento morti del Maidan. Il neopremier Yatsenyuk ha però dato voce a un'altra accusa, quella di aver prosciugato le casse dello Stato e di aver fatto sparire 37 miliardi di crediti «in direzioni sconosciute». La situazione, ha detto Yatsenyuk, è così grave che non ci sono alternative «a misure estremamente impopolari». Il nuovo procuratore generale ucraino, Oleh Makhnytsky, ha spiegato che l'Ucraina contatterà le organizzazioni internazionali per aiutarla a rintracciare conti bancari e patrimoni controllati da Yanukovich e dai suoi alleati. E la Svizzera, ha detto il portavoce del ministro degli Esteri, Pierre-Alain Eltschinger, è pronta a congelare eventuali fondi che l'ex presidente ucraino avesse depositato nelle banche della confederazione elvetica.

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