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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2014 alle ore 11:06.
L'ultima modifica è del 09 maggio 2014 alle ore 12:31.

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Nella città in cui si ruba pure al Padreterno, figuriamoci se i Santi sono al sicuro. Negli anni Ottanta, a Diego Armando Maradona fu trafugato il Pallone d'Oro custodito nel caveau della Banca della Provincia di Napoli. Per recuperarlo, venne mobilitato il gran capo della camorra di Secondigliano, Salvatore Lo Russo, che intervenne però troppo tardi. «Purtroppo, quando ne chiesi la restituzione, lo avevano già sciolto» si rammaricò col Pibe.

Nel 2014, le rapine e le minacce ai calciatori e alle loro compagne non stupiscono più di tanto gli investigatori partenopei. Che, complici i fatti dell'Olimpico, hanno deciso di riprendere i vecchi fascicoli su calcio e camorra per sondare nuovi filoni, interrogare vecchi pentiti e scovare altre prove sul patto scellerato che, in alcuni ambienti, è stato stretto tra mondo del pallone, clan e tifosi.

La Procura di Napoli, nei prossimi giorni, interrogherà chi, quei raid, dice di conoscerli bene: il collaboratore di giustizia Salvatore Russomagno. È stato lui a raccontare che, dietro i furti ad Hamsik e Cavani, c'è il gruppo ultrà dei Mastiffs, quello di Genny 'a carogna.
Potrebbe esserci spazio anche per risentire, oltre a Russomagno, anche altri due pentiti di calibro. Maurizio Prestieri e Giuseppe Misso jr. Il primo, a verbale, ha chiarito come sono i rapporti tra il club azzurro e le curve dello stadio San Paolo, altro tema di grande attualità nell'ufficio giudiziario partenopeo.

«Ricordo che le gestioni Ferlaino e Corbelli avevano una sorta di sottomissione al tifo organizzato – ha detto Prestieri –, nel senso che se i predetti non davano biglietti e pass ricevevano forti contestazioni e minacce con danno per la società. Non mi risulta che ciò accada per la gestione De Laurentiis, che ha sempre impostato la direzione della società con un certo distacco con il tifo organizzato».

In una informativa della Digos di Napoli di due giorni fa, c'è però scritto che la società avrebbe consegnato 300 tagliandi, per la finale di Coppa Italia di Roma contro la Fiorentina, nonostante il parere contrario delle forze dell'ordine per problemi di sicurezza. È stata solo una leggerezza, una sottovalutazione dell'allarme o ci sono stati ricatti nei confronti del club? Risposte per ora non ce ne sono, ma è chiaro che si tratta di un aspetto su cui si concentreranno le prossime tappe dell'indagine anche con interrogatori di dirigenti del club e capi tifosi.

Il sospetto degli inquirenti è che, potendo contare sulla forza di intimidazione dei gruppi criminali di appartenenza, alcuni capi ultras possano aver preso il sopravvento nel controllo dei ticket omaggio e nella "gestione" interna dello stadio. Non a caso, infatti, Misso jr, ha raccontato ai magistrati antimafia: «Sulla curva vige una vera e propria legge della camorra anche in relazione all'apposizione degli striscioni e all'ingresso di nuovi gruppi di tifosi». Tant'è che suo zio, Giuseppe Misso, «impose che il gruppo della Masseria Cardone dovesse uscire dalla curva A per problemi che si erano verificati tra i Misso e i Licciardi». E, infatti, quelli di Secondigliano furono costretti a «spostarsi nel settore dei Distinti».

Movimenti che sono stati registrati dalle forze dell'ordine e anche dagli apparati d'intelligence. Da qualche tempo, ormai, infatti, il centro Aisi di Napoli (il servizio segreto civile) sorveglia con particolare attenzione la galassia del tifo più violento grazie a un canale di comunicazione sotterraneo con alcuni capi. E non è detto che in futuro non possa essere ripreso quel vecchio progetto che prevedeva di infiltrare alcuni 007 tra le sigle più agguerrite della tifoseria azzurra.

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