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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2014 alle ore 19:25.
L'ultima modifica è del 18 maggio 2014 alle ore 15:44.

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L'incubo del blitz
Un'opzione che potrebbe rivelarsi un vero incubo poiché è probabile che i Boko Haram abbiano avuto l'astuzia di dividere in diverse prigioni le ragazze proprio per scoraggiare raids militari. Il sequestro ha rappresentato un grande successo politico e mediatico per il gruppo terroristico grazie anche alla mobilitazione "via tweet" di tanti vip occidentali del mondo politico, culturale e dello spettacolo. Una visibilità che ha messo in evidenza le difficoltà del governo nigeriano, pronto a trattare ma non a liberare i prigionieri come richiesto dai terroristi. Uno scambio che il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha escluso come ha riferito il sottosegretario britannico incaricato per l'Africa, Mark Simmonds, dopo che un rappresentante diplomatico nigeriano, Taminu Turaki, già in passato coinvolto in negoziati con i ribelli, l'aveva definito praticabile.

Della task force internazionale messa in campo per risolvere la crisi con supporto d'intelligence, consiglieri e ricognizione satellitare fanno parte anche francesi, israeliani e persino cinesi, sempre più presenti in Africa, ma il rischio maggiore è che i nigeriani, anche per ragioni d'orgoglio, vogliano condurre da soli un'azione militare tesa a liberare le ragazze.

Un copione già visto nel marzo 2012 quando le forze nigeriane scatenarono il blitz a Sokoto contro la casa in cui erano detenuti l'ingegnere italiano Franco Lamolinara e il britannico Cristopher Mc Manus. Nonostante la presenza sul luogo dei britannici dell'SBS i nigeriani vollero fare da soli ma si fecero scoprire dai terroristi che ebbero tutto il tempo di uccidere gli ostaggi prima di venire sopraffatti.

Ad evidenziare i limiti e la scarsa professionalità ha provveduto negli ultimi giorni Alice Friend, Responsabile per la politica africana del Pentagono, che ha sottolineato come i militari nigeriani non siano addestrati e sufficientemente armati per il contrasto a Boko Haram.

Un esercito inaffidabile
Intervenendo davanti alla Commissione Esteri del Senato, Friend ha accusato i militari di "atrocità" contro i civili e ha spiegato che il Pentagono ha difficoltà ad individuare unità "pulite" per garantire loro un addestramento e una quantità di armi sufficienti a garantire l'impegno che è stato loro affidato. Nel corso della stessa audizione il responsabile per la politica africana del Dipartimento di Stato, Robert Jackson, ha confermato che "l'esercito nigeriano appare male addestrato, poco armato e a anche molto impaurito alla prospettiva di dover affrontare Boko Haram in queste condizioni". In questo cointesto il supporto degli Stati Uniti assume un ampio rilievo nella gestione della crisi delle studentesse rapite anche in una prospettiva di maggiore impegno militare di Washington in Africa.

Nonostante la presenza di migliaia di militari e membri della Cia in diversi Paesi del continente, l'Africa Command statunitense continua ad avere il suo quartier generale a Stoccarda poiché nessun Paese africano intende assumersi i rischi di ospitare un comando strategico americano. Se si escludono le piccole basi clandestine per droni e forze speciali sparse dal Sahel all'Etiopia l'unica grande base operativa e logistica che gli Stati Uniti possono utilizzare liberamente in Africa è quella di Gibuti.

I recenti colloqui bilaterali hanno consentito agli Stati Uniti di rinnovare l'affitto strappare l'uso dell'aeroporto di Camp Lemmonier per altri 10 anni (più ulteriori 10 in opzione) al costo di 63 milioni di dollari annui contro i 38 pagati fino ad ora. L'attivismo militare i Washington in Nigeria potrebbe quindi puntare anche ad aprire un secondo "hub" per le operazioni contro i qaedisti in Africa Occidentale e a trovare una sede continentale per il quartier generale dell'Africa Command.

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