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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2014 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:40.

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E non potrebbe essere diversamente nell'attuale Unione di Stati nazionali dove si è ceduta molta sovranità economica e anche politica ma quella elettorale resiste. Dove la Commissione Ue incarna l'essenza dell'euro-tecnocrazia che agisce a sangue freddo, non certo il volto amico di una democrazia europea diffusa. Dove, tra semestre europeo e fiscal compact, i nuovi meccanismi di governance dell'euro per superare la crisi finanziaria sono fatti apposta per dribblare gli incerti delle democrazie parlamentari nazionali in nome dell'imperativo supremo, la riconquista della stabilità.

Si fa presto a tacciare di populismo l'euroscetticismo, gli estremismi di destra e sinistra che crescono ovunque. Certo, è anche populismo, e spesso deteriore. Però intercettano ed esprimono il disagio profondo di società insicure, finora incapaci di vivere in positivo europeizzazione e globalizzazione, né aiutate da partiti tradizionali a loro volta incapaci di governare i profondi cambiamenti in atto.
Per tutto questo e nonostante il tentativo di fargli compiere un salto di qualità, anche questa volta il voto europeo resta nazionale o irrazionale. Oppure un non-voto.
Gli ultimissimi sondaggi dicono che tra popolari e socialisti, i due pesi massimi dell'assemblea, potrebbe non finire in un testa a testa ma con un divario intorno a 16 voti. I numeri sarebbero 217 seggi per il Ppe, 201 per il Pse, 59 per i liberali. Se così fosse, Juncker sarebbe il vincitore e dunque il nuovo presidente della Commissione in pectore.
Ma il condizionale è d'obbligo: prima di tutto perché non è detto che le urne confermino quei dati. E poi perché i governi, pur decisi a tener conto del risultato elettorale come stabilito dal Trattato di Lisbona, potrebbero non incoronare automaticamente il candidato parlamentare.

Certo, una vittoria netta sarebbe difficile da ignorare. Ma c'è chi dice che a contare sono i colori del candidato, non la sua "faccia" di cui il Trattato non parla: tanto più che pare molto probabile che Juncker, Schulz e Verhofstadt perderanno nei rispettivi Paesi, non avranno quindi almeno l'unica vera legittimità democratica che al momento si esprime in Europa: quella europea è nobile, lungimirante ma prematura, una fuga in avanti rispetto alla realtà.
Angela Merkel rema contro la svolta e con lei quasi tutti i governi Ue che non vogliono rinunciare al potere di scelta. «Se vincesse Schulz, presenteremo la candidatura di Pascal Lamy» avrebbe affermato il presidente francese socialista, François Hollande. Anche se questa è l'aria che tira in Consiglio Ue e anche se sa che il cancelliere vuole sbarrargli la strada, Schulz non intende recedere. Per questo ripete che sarà la coalizione vincente e non il partito ad avere diritto alla nomina. Ma ha bisogno di una maggioranza di 376 voti: il patto con i liberali non basta, allargarlo a estrema sinistra e verdi è possibile ma sarebbe un'"armada" difficilmente governabile in aula perché troppo eterogenea. L'ipotesi più realistica resta sempre la grande coalizione Ppe-Pse e liberali per neutralizzare gli euroscettici: almeno 200 tra "sovranisti", indipendentisti e guastatori vari. Divisi, per come l'Europarlamento è strutturato, non andranno oltre la guerriglia, uniti diventerebbero efficaci eversori.

L'Europa oggi ha bisogno di più democrazia per riconciliarsi con i suoi cittadini perché senza il loro consenso non può assicurarsi un solido futuro. Ha un disperato bisogno di crescita e occupazione senza le quali la stabilità resta fragile e la crisi dell'euro sottotraccia, come dati e cronaca di questi giorni confermano. L'elezione "diretta" del presidente della Commissione Ue, una forzatura del Trattato e uno strano esercizio democratico in assenza di partiti e di un corpo elettorale europeo, è però un mezzo utile a smuovere le acque ferme dell'Unione. A patto che non si trasformi in una guerra per bande, in una sterile lotta di potere. Di questi tempi nessuno ne sente proprio il bisogno.

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