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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2014 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:53.

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La recensione migliore che ho letto finora de Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty è quella del mio amico Lawrence Summers, nonché frequente mio co-autore, pubblicata sul Democracy Journal di Michael Tomasky. Andate a leggervela.
Come, siete ancora qui? Dite che non siete disposti a leggere un testo di cinquemila parole? Vi assicuro che sarebbe tempo ben speso. Se siete ancora qui, tuttavia, non ve ne offrirò una sinossi o qualche brano scelto: vi proporrò invece una breve delucidazione su un aspetto piccolo, di secondaria importanza, facendo una digressione sulla filosofia morale nella recensione di Summers.

«C'è moltissimo da criticare nelle disposizioni esistenti di governance societaria», scrive Summers. «Tuttavia, io credo che coloro che come Piketty rifiutano l'idea che la produttività non abbia niente a che vedere con le retribuzioni farebbero bene a riflettere». Perché? «I dirigenti che guadagnano di più non stanno… dirigendo società pubbliche e riempiendo i loro consigli di amministrazione di amici», dice Summers. Al contrario, sono «stati scelti da società private di investimento per amministrare le aziende che controllano. In nessun modo ciò può giustificare da un punto di vista etico i loro compensi eccessivi, ma soltanto sollevare una domanda sulle forze economiche che li generano».

Quest'ultima frase sottolinea che la nostra discussione filosofico-morale su chi meriti cosa ormai è aggrovigliata all'aspetto economico della teoria marginale della produttività nella distribuzione del reddito, in maniera fondamentalmente inservibile. Supponiamo che esistano davvero decision-maker disposti a pagare una fortuna per assumervi alle condizioni normali di mercato, e non lo facciano quindi perché voi in passato avete reso loro qualche favore o perché se ne aspettino da voi in futuro. Ciò non vuol dire in nessun modo, dice Summers, che voi vi «siate guadagnati» o «vi meritiate» il vostro colpo di fortuna.

Se vincete alla lotteria, e il grosso premio che ricevete indurrà altri a sovrastimare le loro probabilità e ad acquistare i biglietti della lotteria e così facendo arricchire chi la organizza, vi «meritate» la vostra vincita? Siete contenti di essere pagati e chi la organizza è contento di pagarvi. In quanto a tutti gli altri che hanno acquistato i biglietti della lotteria, di certo non sono contenti o, forse, non sarebbero contenti se dentro di sé avessero capito davvero quali erano le loro reali probabilità di vincita e in che modo la vostra sia stata sapientemente messa a punto per fuorviarli.
Avete forse l'obbligo di trascorrere la vostra intera vita, dopo aver incassato la vostra vincita, a raccontare a tutti che in verità ciò che avrebbero dovuto fare era investire i soldi spesi in biglietti della lotteria in un fondo pensionistico valorizzato da sostanziosi sgravi fiscali, per mezzo del quale invece di pagare la casa da gioco per avere il privilegio di giocare d'azzardo di fatto sarebbero stati loro a guadagnarci più del 5% l'anno? Siete moralmente obbligati, come nella ballata del Vecchio marinaio di Coleridge, a raccontare la vostra storia a tutti coloro nei quali vi imbattete?

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