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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2014 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:53.

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Io direi di sì, sicuramente. E direi che la stessa cosa vale più in generale anche per quei promotori di disuguaglianza che noi economisti chiamiamo «concorsi». In verità, i concorsi sembrano davvero eccellenti meccanismi di incentivo: mettete in palio un numero esiguo di grossi premi e un sacco di gente ne sarà attratta e tenterà la propria sorte. Tenuto conto però dell'avversione umana al rischio, l'unica ragione valida per organizzare un concorso è che esso impone alcune forzature cognitive nei comuni partecipanti. Tu, organizzatore del concorso, li danneggi - o per meglio dire stai danneggiando la loro parte migliore e più razionale - propinando loro forzature. Nel migliore dei casi, li aiuti e li incoraggi a farsi del male da soli (in quanto, come i partecipanti alla lotteria, stanno operando una libera scelta).

Ma non basta: supponiamo che, in qualche modo, voi siate pagati in funzione del vostro vero prodotto marginale per la società. Il fatto che voi siate abbastanza fortunati da essere in grado di poter ricavare il vostro prodotto marginale è una questione… beh, di semplice fortuna. Altri non sono altrettanto fortunati.
Altri scoprono che il loro potere contrattuale è limitato - forse a quello che sarebbe il loro stile di vita se si trasferissero nello Yukon e vivessero lavorando la terra. Vi meritate la vostra fortuna? Per definizione, no: nessuno «si merita» la fortuna. E di che cosa siete in debito nei confronti di coloro che si troverebbero nella posizione di ottenere ciò che si meritano qualora voi non foste stati fortunati a sufficienza da arrivarci per primi?
E, ovviamente, in che senso è merito vostro se vivete nell'ambiente giusto, quello che rende voi e le vostre qualifiche altamente redditizie nell'economia odierna? In che modo, esattamente, avete scelto di essere messi al mondo dai genitori «giusti»? Perché, in definitiva, i vostri successi e i vostri risultati positivi non sono frutto di mera e immeritata fortuna?
Potremmo discutere in modo molto più chiaro di questioni inerenti alla disuguaglianza e alla distribuzione se ci attenessimo semplicemente a considerazioni riguardanti il benessere umano e gli incentivi utili. In quanto al resto, si tratta semplicemente di ideologia meritocratica. E, come indica l'accoglienza che ha avuto il libro di Piketty, quell'ideologia ormai può aver fatto il suo corso.

(Traduzione di Anna Bissanti)
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OLTRE LE DISUGUAGLIANZE
Il saggio di Thomas Piketty
Thomas Piketty, economista francese specializzato nello studio delle ineguaglianze, ha scritto il saggio Capital in the twenty first century. Usa le opere di Honoré de Balzac e Jane Austen come filo conduttore per descrivere la parabola economica degli ultimi due secoli e l'inchiesta considera venti Paesi (tra cui l'Italia). Piketty sostiene che l'ineguaglianza, storicamente, dipende dalla differenza tra la reddività del capitale e il tasso di crescita economica e che tanto più i profitti garantiti dal capitale (cioè le rendite) sono superiori alla crescita economica, tanto più la bilancia si inclina dalla parte della ricchezza. E oggi una bassa crescita dell'economia mondiale sta generando un picco nell'ineguaglianza.
Come produrre più crescita
Sul Sole 24 Ore del 20 maggio Franco Debenedetti torna sul dibattito attorno al libro di Piketty: la formula proposta dall'economista francese affascina ma il capitalismo non è un'equazione. Piketty tocca nervi scoperti: negli Usa e nei Paesi europei, tecnologie e mondo globalizzato mettono in tensione i principi su cui si basa la coesione nazionale. Ma la soluzione non è il suo progetto scientista. I modi per produrre crescita non sono prevedibili a priori, li scoprono gli imprenditori in un mercato libero.
I conti da rifare con il nuovo progresso
In un'analisi di Kemal Dervis, pubblicata sul Sole 24 Ore del 4 maggio, sulla natura della crescita l'economista ricorda il pensiero di Piketty: egli sostiene che le forze economiche alimentano una crescita persistente degli utili come parte del reddito; ma manca ancora un aumento del lavoro per far partire davvero la crescita. Altri contributi al dibattito su Piketty sono sul sito web del Sole.

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