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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:56.

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Per il governatore della Lombardia Roberto Maroni l'Expo è a rischio. Le opere potrebbero non essere completate in tempo, soprattutto se il "decreto Cantone" e il "salva-Expo" non arriveranno in tempo. Per l'evento del 2015 «rischiamo di andare oltre il 30 aprile (del 2015, giorno prima dell'apertura dell'evento, ndr) senza avere completato le opere», ha detto ieri il governatore dopo un consiglio regionale. I provvedimenti sono attesi da qualche settimana, e adesso si parla del Consiglio dei ministri di venerdì.

Maroni ha quindi spiegato di attendere «fiducioso» il decreto del governo su Expo, ma ha aggiunto che «andando avanti così il rischio è di non fare in tempo con i lavori». «Lo dico - ha continuato il governatore - non avendo la responsabilità diretta perché è del commissario di governo, ma lo dico con preoccupazione perché io ho le informazioni e i tempi sono questi».

La polemica è rivolta al governo di Matteo Renzi, e non è la prima volta. Prima nel mirino di Maroni c'erano gli stanziamenti per le grandi opere regionali o le autorizzazioni ambientali per la loro realizzazione; oggi si parla di un provvedimento che dovrebbe servire a snellire alcune procedure.
Fino a qualche giorno erano ipotizzate due misure autonome: una per dare più poteri all'Authority anti-corruzione e al suo presidente Raffaele Cantone, a seguito dell'inchiesta giudiziaria che vede coinvolto l'ex responsabile degli appalti di Expo, Angelo Paris; una per inserire norme urgenti per i lavori del sito espositivo di Rho. Adesso si parla di unire tutto in un solo decreto.

Ecco le misure urgenti. Prima di tutto il conferimento alla Fiera di Milano del potere di affidare i lavori per gli allestimenti e i padiglioni, una sorta di deroga sulle gare. Secondo punto: la possibilità per la società di gestione di ristrutturare i contratti con le imprese edili che operano nel sito, a seguito della richiesta (in molti casi fisiologica) del pagamento di extracosti, utilizzando procedure più rapide rispetto ai contenziosi legali. Infine, la possibilità di utilizzare la struttura di Italferr come supervisore, o addirittura per la direzione dei lavori della piastra, al posto della società lombarda Infrastrutture lombarde, toccata anch'essa da un'inchiesta che ha portato in custodia cautelare l'ex dg Antonio Rognoni.

Potrebbe esserci un passaggio dedicato anche al "commissariamento" della Maltauro, l'azienda che ha vinto due gare per Expo (per 230 milioni circa) ma il cui responsabile è finito in custodia cautelare in carcere nell'inchiesta sugli appalti lombardi. La Maltauro prosegue i lavori, ma si pensa ad una sorta di controllo di spese e utili da parte di Cantone, anche per salvaguardare l'immagine di Expo. Dalla Cina è arrivata la risposta del premier Renzi: «No ai professionisti del pessimismo. Piuttosto che sollevare polemiche sterili Maroni rifletta sulle responsabilità della Lombardia».

Intanto stanno emergendo nuovi dettagli nell'inchiesta su Expo, con possibili legami con quella sul Mose. In alcuni atti si legge che Erasmo Cinque, uomo vicino a Altero Matteoli, avrebbe preso il 5% degli oltre 150 milioni dell'appalto più importante dell'evento, quello della piastra, vinto dall'azienda Mantovani, il cui nome torna in entrambe le indagini. A raccontare la storia è il responsabile del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, indagato, che è considerato a tutti gli effetti il "gran burattinaio". «Ci sono tre persone importanti che riguardano le Infrastrutture...che per motivi diversi hanno un peso - spiega - E questi tre, negli anni, sono il senatore Martinat, l'ex ministro Matteoli e Erasmo Cinque».

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