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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2014 alle ore 22:00.
L'ultima modifica è del 12 giugno 2014 alle ore 22:17.

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La tv di stato ha trasmesso immagini di quelli che ha descritto come raid aerei contro posizioni ribelli a Mosul, conquistate martedì dopo assalti durati diversi giorni dei jihadisti dell'Isil (Stato islamico dell'Iraq e del Levante) e i suoi alleati, mentre le forze irachene hanno abbandonato le loro postazioni e sono scappate. La stampa turca ha inoltre segnalato che l'esercito turco sta facendo sorvolare su Mosul dei droni, iniziativa in accordo con Baghdad.

La risposta degli Stati Uniti
Intanto con i miliziani qaedisti ad appena un centinaio di chilometri da Baghdad e padroni di ampie regioni dell'Iraq centro-settentrionale e della Siria orientale e nord-orientale, gli Stati Uniti provano a fare sentire la loro voce: il presidente Barack Obama afferma di non escludere nessuna opzione, tantomeno quella militare, per andare in soccorso del governo di Nuri al Maliki e difendere «gli interessi di sicurezza nazionale» americana. La Casa Bianca esclude comunque l'invio di truppe di terra e la Nato dal canto suo si guarda bene dal cercare un coinvolgimento nella questione irachena.

In serata, il vice presidente Joe Biden ha avuto un colloquio telefonico con Maliki, mentre il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto che «la comunità internazionale deve occuparsi imperativamente» della crisi irachena. Per Mosca invece, gli ultimi sviluppi dimostrano il «totale fallimento» dell'intervento anglo-americano del 2003.

Le paure di Erdogan
In questo quadro convulso la Turchia del premier Recep Tayyip Erdogan teme il possibile contagio economico e politico della esplosiva crisi irachena. Non a caso martedì la Borsa di Istanbul ha lasciato sul terreno il 3,3% e la lira mezzo punto rispetto al dollaro sui timori che il paese della Mezzaluna potesse essere trascinato, in qualche modo, nella guerra del vicino Iraq.

I diplomatici in ostaggio
I miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, (Isil), hanno preso a sorpresa sempre martedì in ostaggio 49 diplomatici e 31 camionisti di nazionalità turca a Mosul, dopo la conquista della città. Gli ostaggi dovrebbero essere rilasciati e condotti in Turchia nelle prossime ore, ha riferito il giornale turco Yeni Safak, senza rivelare la fonte della notizia. Ma la situazione resta confusa.

Le autorità turche discutono con tutte le parti in Iraq per tentare di ottenere la liberazione degli 80 cittadini turchi tenuto in ostaggio dai guerriglieri jihadisti dell'Isil, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante. «Siamo in contatto con tutti i gruppi in Iraq, compresi curdi e turkmeni» ha detto all'Afp una fonte del governo di Ankara, che non ha voluto precisare se l'Isil fa parte degli interlocutori.

Ieri i jihadisti hanno assalito il consolato turco di Mosul e preso in ostaggio una cinquantina di cittadini turchi che vi si trovavano, tra cui il console, i diplomatici del suo staff, militari delle forze speciali e tre bambini. Inoltre sono nelle mani dei combattenti islamici, che hanno preso il controllo della seconda città irachena, 31 camionisti turchi.

Kurdistan iracheno e Turchia
Tra il vicino Kurdistan iracheno e la Turchia c'è un fiorente commercio di merci e prodotti manifatturieri turchi di ogni tipo, dal cemento ai prodotti tessili, in cambio di petrolio che ha riavvicinato il governo curdo di Erbil, uno stato nello stato in Iraq, a quello di Ankara. L'aeroporto internazionale di Erbil, costruito da imprese in maggioranza turche, è un modello di efficienza. E tutta l'area è un fiorire di gru e nuove costruzioni. Un boom economico che stride con il resto dell'Iraq a guida di al Maliki. È un paese praticamente indipendente da Baghdad, con un parlamento proprio, le sue forze armate, la sua lingua, e soprattutto la propria fiorente economia, grazie all'oro nero, motivo di scontro con il governo centrale.

Anche l'Italia ha aperto un consolato a Erbil e numerosi sono i nostri imprenditori in loco.

Ankara in tensione
Ieri sera il ministro turco degli Esteri Ahmet Davutoglu, quello della dottrina "zero problemi con i vicini") ha promesso ai sequestratori «rappresaglie severissime» in caso di minacce sui cittadini turchi ostaggi e aggiunto che questi sono «in buona salute». Minacce che sono suonate come un campanello d'allarme in un paese che tra breve dovrà eleggere il nuovo presidente a suffragio universale.

Oggi il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag ha detto che il suo governo non solleciterà il Parlamento a ottenere il rinnovo dell'autorizzazione di intervento militare per soccorrere gli ostaggi. «Per quanto ne so, non lavoriamo su questo mandato per l'esercito» ha detto Bozdag, precisando che l'esecutivo dispone già di un mandato di questo tipo, rinnovato ogni anno e valido fino a ottobre, per colpire le basi in Iraq dei ribelli curdi del Pkk. «Non so se il mandato attuale basti, il governo valuta tutte queste questioni» ha aggiunto il ministro.

Discorsi che non sono piaciuti agli investitori stranieri che guardano con apprensione alla possibilità che la Turchia, dopo aver evitato la sanguinoso guerra siriana, venga risucchiata nel vortice della crisi irachena.

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