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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 15:27.

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"Grazie al Presidente Benedini, al Presidente Emanuele, al direttore Napoletano, che ha creduto in quest'iniziativa, e quindi non soltanto per le cose di oggi, ma per la strada tracciata in questi tre anni, in cui sono emerse molte cose nel dibattito attorno ai temi della cultura al nostro Paese che sono serviti a smuovere le acque, a indicare una strada, che è quella su cui stiamo cercando di lavorare, facendo i primi passi. Sono, infatti, soltanto i primi passi ma, come è stato ricordato e di cui ringrazio, anche significativi. È stato ricordato prima, ma la mattina in cui sono andato a giurare come Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e i giornalisti, come sempre accade, erano davanti al Quirinale e mi hanno messo i microfoni davanti alla bocca, ho pronunciato quella che poteva sembrare una battuta: «Mi sento chiamato a guidare il ministero economico più importante di questo Paese».

In realtà, devo dire tre mesi dopo e senza emotività che sono certo di guidare il ministero economico più importante di questo Paese perché il mondo sta cambiando. Nel mondo che cambia, che si integra, nella globalizzazione, dove scompaiono le distanze, le frontiere, le aziende delocalizzano, è finita per sempre la stagione in cui le economie nazionali possono essere competitive su tutto. Non si deve smettere di fare alcune cose, ma nel mondo della globalizzazione, in questo processo così accelerato, ogni economia nazionale, ogni Paese deve individuare la propria vocazione e su quella costruire delle scelte, delle priorità. Ci saranno Paesi che hanno le materie prime e investiranno su quelle; quelli che hanno ancora un basso costo della manodopera; quelli che hanno le grandi estensioni territoriale. Cosa abbiamo noi di vincente se non la bellezza, la storia, il nostro patrimonio monumentale, archeologico, culturale, il talento, la creatività, cioè tutte quelle cose dal Rinascimento, e non solo, in poi hanno fatto forte il nostro Paese, quanto abbiamo saputo investire su questo?

Investire nella cultura è una scelta economica per questo Paese, sapendo che veniamo da anni di responsabilità, di tagli. Dal 2000 a oggi si sono alternati vari Governi: per tutti i capitoli che riguardano la cultura ci sono stati tagli enormi, fino a impoverire, dal punto di vista delle risorse, anche per gli interventi più urgenti la manutenzione, il restauro. Al di là dei colori, naturalmente in misura diversa, dei Governi che si sono alternati, non c'è mai stata nella politica italiana la consapevolezza che, se questa è la nostra vocazione, su questo bisogna investire e non affidare la battaglia al singolo Ministro della cultura, bensì farla diventare una battaglia complessiva del Governo e del Parlamento. Questa è la risorsa che può renderci competitivi e vincenti.

La globalizzazione, che è stata vissuta come un terrore per la nostra economia, in realtà offre opportunità straordinarie. Investire sulla nostra bellezza e la nostra capacità di fare offerta culturale è una condizione non soltanto per attrarre turismo. Sapete che, secondo le classifiche, fino agli anni Settanta eravamo il primo Paese e siamo diventati il quinto per attrazione di turismo internazionale, ma siamo tuttora il primo in quanto ai desideri di viaggio, compresi i turisti cinesi, russi e tutti i turisti nuovi che stanno entrando nel mercato globale.

Si capiscono, quindi, le potenzialità enormi non solo per il turismo, ma anche per attrarre investimenti. Quando si va nella parte dove conta meno il costo del lavoro e conta più l'intelligenza, la parte alta della filiera produttiva, se una grande azienda che investe deve scegliere se andare in un brutto Paese o in un bel posto dove c'è offerta culturale, bellezza, paesaggio, si mangia bene, si vive bene, sceglie quest'ultimo. Quindi, anche tutelare la nostra bellezza è una condizione per vincere la sfida economica. Questo è quello che dobbiamo fare, sapendo anche che gli investimenti nella cultura sono quelli che rendono di più. Ho letto, nella ricerca presentata ieri da Unioncamere insieme a Symbola, che per un euro investito nella cultura c'è 1,7 euro di rientro. Ci sono, quindi, anche ragioni economiche.

Vorrei che questa diventasse una battaglia collettiva del Paese, non soltanto del Governo. Ad esempio, sul decreto cultura c'è in Parlamento un clima molto positivo tra maggioranza e opposizioni, perché davvero dovrebbero essere argomenti che attraversano trasversalmente il Parlamento. Ci sono tanti temi su cui possiamo scontrarci! Su quelli su cui possiamo costruire una missione del Paese, al di là dell'alternanza fisiologica dei Governi, dovremmo farlo nel modo più largo e condiviso possibile, e spero che sia così. Questo decreto, come tutti i decreti-legge, contiene misure urgenti; non è la risposta definitiva. Per carità, servono interventi strutturali, serve un ridisegno, soprattutto dopo avere positivamente unito Cultura e Turismo, serve una riforma del Ministero, su cui stiamo già lavorando, che deve introdurre anche dei criteri nuovi. Ne cito solo uno, perché si è parlato di periferie urbane, anche nella traccia della maturità. Noi siamo un Paese che giustamente investe sulla tutela, sulla conservazione, perché abbiamo questo straordinario patrimonio, ma dobbiamo guardare anche un po' avanti. Nella riforma del mio Ministero ci sarà un grande investimento sull'arte e l'architettura contemporanea perché dobbiamo guardare avanti, oltre alla tutela, perché abbiamo dei giovani architetti, dei talenti formidabili costretti ad andare in giro per il mondo. Eppure anche il Colosseo era arte contemporanea! Anche i Bronzi di Riace lo erano! Nel momento in cui tuteliamo, dobbiamo anche guardare al futuro, a come dobbiamo fare un grande investimento sull'educazione alla cultura, che parte dalle scuole, da un rapporto con il Ministero dell'istruzione.

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