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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 13:29.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:22.

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(Epa)(Epa)

È appena cominciata ma sarà una battaglia lunga, soprattutto di nervi. La trattativa si preannuncia durissima. Inizierà la prossima settimana e fin da ora appare chiaro che l'Argentina e la Corte suprema americana, pur con motivazioni diverse, agitano lo spettro del default. Il governo di Buenos Aires ha definito «impossibile» il pagamento dei titoli in scadenza a fine mese.

Il primo round è stato teso. La Corte d'appello Usa ha comunicato la sospensione della "misura cautelare" che avrebbe evitato all'Argentina il pagamento di 1,3 miliardi di dollari agli holdouts. Provvedimento che impedisce il rimborso dei titoli con scadenza al 30 giugno del debito ristrutturato.

I termini dello scontro, lo ricordiamo, sono questi: la sentenza della Corte suprema impone all'Argentina il versamento di 1,3 miliardi di dollari agli hedge fund che non hanno accettato il concambio; pagamento che dovrebbe avvenire prima di quello dovuto a chi ha accettato le ristrutturazioni del debito. L'Argentina non ci sta e ha definito "estorsione" la richiesta avanzata dagli Stati Uniti.
Da un punto di vista tecnico, la disposizione pari passu (trattamento uguale nei confronti dei creditori), uno dei punti nodali dello scontro, impedirebbe all'Argentina di pagare il 30 giugno i coupon del debito relativi ai crediti ristrutturati a meno che non paghi simultaneamente la totalità di quanto richiesto dagli hedge fund, e cioè 15 miliardi di dollari.
«Non credo» ci saranno ripercussioni sull'Italia in seguito alla sentenza Usa che obbliga l'Argentina a pagare i possessori di tango bond. Così ha dichiarato ai giornalisti il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, ricordando che «il 95% di possessori di tango bond aveva già accettato l'accordo con l'Argentina». Poi ha aggiunto: «Vediamo se l'ultima parte può rinegoziare», ha aggiunto. «Non immaginiamo pericoli nell'immediato né per l'Argentina né per l'Italia» ha ribadito Giro, ricordando che Buenos Aires «ha partecipato al club di Parigi e ha ripreso i contatti con il Fondo monetario internazionale».

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