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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2014 alle ore 14:07.

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Il rischio concreto per molti è di tornare in un incubo già vissuto, nel quale i propri risparmi – o meglio, ciò che ne è rimasto dopo il pesante "taglio di capelli" già subìto – si trasformino di nuovo in carta straccia. Il paventato nuovo default argentino andrebbe a penalizzare soprattutto i risparmiatori che, dopo il crack del 2001 da 95 miliardi di dollari, avevano ridato fiducia a Buenos Aires. Il collasso costò all'Italia 14 miliardi di dollari. Il 92% dei 450mila investitori italiani coinvolti aderì alle due Offerte pubbliche di scambio volontarie avanzate dall'Argentina nel 2005 e 2010, ricevendo nuovi titoli per un valore pari al 30% di quello investito nei vecchi bond. Proprio queste obbligazioni, che nelle ultime sedute hanno segnato un tracollo, sarebbero coinvolte dell'effetto domino di un nuovo mancato pagamento.

Più protetto chi ha aderito alla Task force Argentina
I meno esposti sarebbero invece i risparmiatori che hanno aderito alla Task Force Argentina (Tfa). Secondo una nota della Tfa, associazione che fa capo all'Abi e che tutela oltre 50mila bondholder italiani che attendono il rimborso da Buenos Aires di 2 miliardi di dollari, la decisione con cui la Corte suprema Usa ha bocciato l'appello di Buenos Aires contro gli hedge fund che hanno respinto l'offerta di ristrutturazione del debito «costituisce un precedente positivo per i creditori in titoli argentini, peraltro lasciando inalterati i diritti degli obbligazionisti ricorrenti al tribunale arbitrale Icsid. È giunta in concomitanza dell'avvio dell'udienza finale dell'arbitrato promosso dagli obbligazionisti italiani. Il tempo per trovare una soluzione negoziata era già scaduto. Ora l'Argentina deve accelerare in quest'unica direzione».

Rischi di riapertura del contenzioso legale con le banche
Ma un nuovo crack rischia di riaprire anche il mai sopito contenzioso tra risparmiatori coinvolti nel default del 2001 e le banche intermediarie dei Tango bond. Secondo l'avvocato Letizia Vescovini del foro di Modena, che ha patrocinato alcuni investitori, in caso di mancato pagamento delle cedole dei titoli offerti dalle Opvs del 2005 e del 2010 «si riaprirebbero i termini per agire nei confronti dell'Argentina per il mancato rispetto del piano di ristrutturazione: chi ha aderito a quelle offerte potrebbe valutare di agire nuovamente verso Buenos Aires, ricordando però che in tribunale le azioni contro l'Argentina son sempre state rigettate per difetto di giurisdizione. Bisognerebbe valutare se un eventuale nuovo default riapra anche i termini per agire nei confronti delle banche che hanno collocato l'investimento».

La sentenza della Cassazione e i termini della prescrizione
Una riapertura di cui parla anche l'avvocato David Giuseppe Apolloni del foro di Perugia, esperto di Tango bond: «La sentenza 27875 del 2013 della prima Sezione Civile della Cassazione in materia di bond Cirio stabilisce la solidarietà passiva tra società emittente e intermediario per il danno all'investitore: il principio può essere esteso anche ai bond argentini. Chi ha aderito a Tfa ha convenienza ad attendere l'esito del lodo. Consiglio comunque a tutti i bondholder di mandare una raccomandata alla banca intermediaria per interrompere il termine decennale della prescrizione, anche se ritengo che, per il principio dell'obbligazione solidale sancito dalla Cassazione, l'atto di messa di mora della Tfa contro l'Argentina valga anche nei confronti delle banche coinvolte. Tra l'altro la prescrizione potrebbe non essere ancora scattata anche per chi non ha ancora avanzato la messa in mora della banca intermediaria perché, secondo alcune sentenze di merito, il termine decennale non decorrerebbe dal dicembre 2001, quando l'Argentina dichiarò la sospensione dei pagamenti, ma dal febbraio/marzo 2005, quando con l'Opvs Buenos Aires certificò che non avrebbe più pagato», conclude Apolloni

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