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Boccia: «Più produttività per far crescere i salari»

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l’assemblea di confindustria

Boccia: «Più produttività per far crescere i salari»

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia durante l'assemblea generale (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia durante l'assemblea generale (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Esordisce in modo diretto e concreto: «Ripartiamo da ciò che conosciamo e sappiamo fare meglio: la nostra industria». Per «costruire un capitalismo moderno, fatto di mercato, apertura di capitali, investimenti nell’industria del futuro». Vincenzo Boccia comincia a parlare davanti alla platea degli imprenditori, nel suo primo discorso ufficiale da presidente di Confindustria. La nostra economia «è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa, è una risalita modesta, deludente, che non ci riporterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione». Bisogna andare avanti con le riforme: «La strada obbligata per liberare il paese dai veti». Le affronta una ad una, a partire da quella istituzionale, passando per fisco, burocrazia, spesa pubblica, infrastrutture. Serve una politica industriale: «Gli altri paesi se la sono data, noi no».

Boccia guarda anche in casa propria: «Prima di chiedere agli altri dobbiamo iniziare a indicare ciò che spetta a noi». Al mondo delle imprese e a Confindustria: «Crediamo che rappresenti un bene comune per l’intero paese, sappiamo di poter fare molto per l’Italia e per il cambiamento». Crescere «deve diventare la nostra ossessione, si nasce piccoli e poi si diventa grandi».

E c’è un tema che può dare un contributo «decisivo» per aumentare «la ricchezza e il benessere delle imprese e delle persone»: le relazioni industriali. Boccia lo dice chiaramente: occorre lo scambio salario-produttività.

Torna sul tavolo la riforma della contrattazione, avviata con la presidenza di Giorgio Squinzi «vi erano tutte le condizioni» e poi arenatasi. «A malincuore» è stata accettata la decisione del sindacato di rinnovare i contratti con le vecchie regole.

«Adesso non si può interferire con i rinnovi aperti», ha scandito Boccia. Ma quando si riaprirà il confronto la «bussola» sarà lo scambio salario-produttività da realizzare nella contrattazione aziendale e «sarebbe opportuno che le nuove regole fossero scritte dalle parti sociali e non dal legislatore. Non vogliamo giocare al ribasso: vogliamo una più alta produttività per pagare più alti salari», ha precisato Boccia. È proprio «l’andamento della produttività la causa della lenta crescita italiana. È una variabile decisiva». Gli aumenti retributivi, ha spiegato, devono corrispondere ad aumenti di produttività. «Il contratto nazionale resta per definire le tutele fondamentali del lavoro e offrire una soluzione a chi non desidera affrontare il negoziato in azienda». Inoltre: «Serve una politica di detassazione e decontribuzione strutturale. Senza tetti di salario e di premio». Bisogna costruire la stagione della «collaborazione per la competitività». E subito le parti sociali devono confrontarsi su questioni importanti, in particolare le politiche attive del lavoro, la sfida dell’invecchiamento attivo, il welfare aziendale. «Le risorse umane sono il fattore vincente delle imprese».

Molti gli applausi (24 , con standing ovation finale), lungo il tributo della platea a Squinzi, quando Boccia lo ha ringraziato per il lavoro svolto e per aver mantenuto la promessa di restare «uno di noi. L’esempio che ci hai dato lascerà un’impronta». Un momento di commozione anche quando ha salutato il padre, Orazio, vedendolo seduto in platea «e pensare da dove sei partito». A dimostrazione, «che la nostra associazione è inclusiva e aperta».

In prima fila, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Vasta la rappresentanza del governo, oltre ai ministri dei Beni culturali e dello Sviluppo, Dario Franceschini e Carlo Calenda, che sono intervenuti, erano presenti Stefania Giannini, Istruzione; Marianna Madia, Funzione pubblica; Beatrice Lorenzin, Sanità; Maurizio Martina, Politiche agricole; Graziano Delrio, Infrastrutture; Giuliano Poletti, Lavoro. Erano presenti, tra gli imprenditori, i past president di Confindustria Emma Marcegaglia, Antonio D’Amato e Luigi Abete, oltre ai tre leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil e i presidenti di associazioni di altre categorie imprenditoriali.

È al governo e alla politica che Boccia si è rivolto sollecitando le riforme. Precisando però che «non hanno un nome, ma un oggetto. Non sono patrimonio dei partiti, ma di tutti i cittadini». Quindi «appartengono anche alla storia di Confindustria fin dagli anni ’90». In particolare «Confindustria si batte fin dal 2010 per il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione». Il traguardo, ora «è a portata di mano». Le posizioni sul referendum verranno decise, ha detto il neo presidente, nel consiglio generale del 23 giugno, coinvolgendo tutto il sistema. Ed ha avuto applausi Boccia quando ha affermato che in una democrazia moderna chi si oppone deve presentare proposte alternative e non usare l’opposizione «solo per temporeggiare».

Boccia crede nel dialogo: «Vogliamo che non ci sia più contrapposizione tra istituzioni e imprese». Per Boccia «il tempo è cruciale, è uno dei principali fattori di produttività». Quindi serve un nuovo modello di legislazione e di Pa, in grado di promuovere la crescita. Far funzionare le istituzioni è anche la strada per estirpare l’illegalità, ha detto Boccia, esprimendo solidarietà al sindaco di Licata. «L’illegalità si estirpa quando il mercato è libero. Prima che nei tribunali va punita socialmente». Nel segno della legalità è anche «indispensabile il severo contrasto all’evasione». La delega fiscale ha inciso «molto e bene», ora deve tradursi in atteggiamenti concreti.

Bisogna rilanciare l’Italia, valorizzando le nostre capacità di seconda potenza manifatturiera. L’industria del futuro, ha detto Boccia, richiede dimensioni adeguate. Quindi bisogna innovare i modelli di finanziamento e di governance, le aziende devono essere meno «bancocentriche». Come Confindustria «ci faremo promotori instancabili» di questo cambiamento, e lavoreremo perché al programma Elite di Borsa italiana partecipino «diverse migliaia di imprese». Alle banche, ha aggiunto Boccia, vuole però «strappare una promessa»: tornare dentro le aziende.

Sono molti i punti toccati da Boccia: la questione energetica «l’Italia deve diventare hub internazionale del gas», serve «un quadro di regole per il mercato elettrico non distorsivo per gli Stati membri». Vanno rilanciati i progetti infrastrutturali, che penalizzano soprattutto il Sud. Per il Mezzogiorno non servono politiche straordinarie, «ne servono più intense, ma uguali a quelle necessarie al resto del paese», sfruttando in pieno i fondi strutturali.

«Non chiediamo scambi né favori, ma politiche per migliorare i fattori di competitività». Proponiamo, ha aggiunto, un programma certo da realizzare in quattro anni. Con «manovre di qualità, politiche a saldo zero, ma non a costo zero». Sul fisco, la richiesta è alleggerire il carico su lavoro e imprese spostandolo sulle cose; le risorse che arrivano dall’evasione devono andare all’abbattimento delle aliquote. «Ottima» per Boccia, la riduzione dell’Ires al 24% a partire dal 2017. L’Italia ha la non invidiabile anomalia dell’elevata imposizione sui fattori di produzione. Il superammortamento sta funzionando: «Rinnoviamolo». Siamo coscienti, ha aggiunto, del vincolo del debito pubblico. «Ma nemmeno vanno bene le politiche di austerità che assomigliano ad un accanimento terapeutico», ha detto Boccia, dando atto ai governi italiani, specie quello in carica, di aver ottenuto una politica di bilancio non più restrittiva nella Ue. Non bisogna violare le regole, piuttosto proseguire nelle riforme strutturali per ridurre la spesa pubblica.

Anche all’Europa Boccia ha dedicato parte del suo discorso: c’è uno stallo economico, soprattutto politico. Bisogna realizzare un’Europa coraggiosa, che non costruisca muri, metta come priorità lo sviluppo della propria industria, consapevole delle proprie potenzialità.

Ieri per la prima volta ha parlato il ministro dei Beni culturali. Boccia ha fatto proprie le parole di Mattarella: ogni euro speso per la cultura è speso anche ai fini della crescita. È quel Brand Italia «dall’enorme potenziale». Infine il presidente di Confindustria ha concluso sottolineando l’orgoglio di essere imprenditori, ribadendo la volontà di lavorare presentando proposte, aspettando alternative, ma «esigendo il confronto» per contribuire a creare «quello che vogliamo, quel futuro che è dentro di noi e che vedremo solo domani».

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