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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 10:11.
Giovedi 3 giugno è in programma il Consiglio dell'Authority per le comunicazioni: all'ordine del giorno il piano nazionale per l'assegnazione delle frequenze per la Tv digitale terrestre. Se per numero di decoder venduti e penetrazione della piattaforma l'Italia si dimostra un Paese che ha cavalcato molto velocemente la nuova rivoluzione televisiva, sul fronte della regolamentazione siamo ancora nella fase di stallo. Di confusione anche, di rimpallo di responsabilità e di rivendicazioni contrapposte.
La questione è nota: da mesi si aspetta il provvedimento attraverso il quale l'organismo presieduto da Corrado Calabrò deve definire quante frequenze digitali sono riservate alle Tv nazionali, quante alle emittenti locali e quante saranno oggetto della gara del Ministero dello Sviluppo Economico indirà in autunno (a cui parteciperà con ogni probabilità anche Sky). Chi sta pagando dazio in questa empasse da assenza di regole e chi rischia di più di essere tagliato fuori dalla spartizione? La risposta appare scontata: le Tv locali, alcune delle quali hanno lanciato l'allarme sopravvivenza. Nonostante l'Agcom ne abbia più volte scongiurato la penalizzazione con l'avvento del digitale, è stato proprio Calabrò a parlare di una "sofferenza" latente nel ribadire a più riprese che il piano nazionale sulle frequenze si farà "salvaguardando le diverse posizioni".
L'Aeranti-Corallo, l'organizzazione di categoria che rappresenta oltre 310 aziende televisive locali, la sua proposta in tal senso l'ha fatta, forte anche del supporto ricevuto dalla Federazione Radio e Televisioni e di quella della Stampa Italiana: dieci numerazioni per le piccole emittenti subito dopo quelle delle reti nazionali analogiche, 50 numerazioni per le locali tra i primi 100 canali del Dt ed analoga impostazione anche per gli archi 101-200 e 201-300, l'intero settimo arco di numerazione (601-700) assegnato alle ulteriori offerte delle emittenti locali. I principali attori di questa partita - il vice ministro alle Comunicazioni Paolo Romani, l'Associazione Dgtvi e la stessa Agcom – sono tutti concordi che sfruttare le frequenze solo al 60% è uno spreco e liberare quelle inutilizzate è un passaggio dovuto. Ma lo stallo rimane. E allo stato attuale delle cose il piano assegnerebbe alle Tv minori, poco meno di 600 in tutta Italia, lo spettro di trasmissione peggiore e di conseguenza una posizione sfavorevole nel sistema di numerazione automatica dei canali (Lcn): due fattori complementari che ne limiterebbero l'attività sulla piattaforma digitale terrestre.