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Tecnologie Media

Giornalisti ed editori a confronto con Google tra profezie apocalittiche e obiettivo-qualità

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 20:15.

AMBURGO - «Vengo in pace», così Philipp Schindler, vice presidente di Google, responsabile per l'Europa centro-settentrionale si presenta al World Editors Forum di Amburgo. Una battuta che strappa l'applauso di una platea non certo amica, quella dei rappresentanti (giornalisti e manager) della grande stampa internazionale, riuniti per una settimana di incontri e conferenze sul futuro dell'informazione nell'era di internet. Un futuro in cui il web, e il suo "grande fratello" Google, giocano un ruolo di non poco conto.

Le controversie tra il colosso dei motori di ricerca e i grandi giornali internazionali non sono certo una novità. Mentre il primo continua a macinare utili nonostante la crisi, gli altri faticano a trovare un modello di business che consenta di compensare il declino delle vendite in edicola. E questo perché Google domina il mercato dell'advertising su internet, spesso (è il caso di Google News) sfruttando contenuti giornalistici prodotti dai giornali tradizionali.

«Noi produciamo le uova e voi vi mangiate la frittata», sintetizza Xavier Vidal-Folch presidente del World Editors Forum cercando di provocare, senza successo, il giovane rampante manager di Google. «Assolutamente no - ribatte lui - quella tra noi e i grandi giornali internazionali non è altro che una mutua relazione. Quello che ci prendiamo sotto forma di pubblicità ve lo restituiamo. Si pensi a "ad sense", (il sistema di annunci pubblicitari di Google che garantisce guadagni in base ai click a chi gestisce siti web, ndr.). Per non parlare del volume di traffico che garantiamo grazie ai miliardi di ricerche che i navigatori fanno sul nostro motore di ricerca ogni giorno. Immaginate se domani Google non esistesse più, quanti giornali online potrebbero dire di avere lo stesso traffico?».

Il ragionamento non fa una piega, ma le proporzioni con cui la torta viene spartita non convincono gran parte degli editori di giornali, reduci da un biennio terribile. La crisi economica globale, e il conseguente calo delle inserzioni pubblicitarie, ha accentuato una trasformazione già in atto nel settore dell'informazione, che ha colpito soprattutto i giornali cartacei. I numeri di questa crisi li ha presentati Erik Willberg, professore della Norwegian School of Management che ha presentato al World Editors Forum di Amburgo i risultati di una ricerca dal titolo "Newspaper, future e change study" sulle trasformazioni in atto nel mondo dei media.

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Due anni di lavoro, durante i quali i ricercatori dell'università del Central Lankashire e la Norwegian School of Management, hanno raccolto informazioni intervistando direttori di giornali, manager e amministratori di società editoriali in tutto il mondo, anche se la percentuale maggiore (il 50%) delle imprese sentite ha il suo quartier generale in Europa.

Il 2009 è stato l'anno più duro: il 38% degli intervistati ha visto calare i ricavi totali di oltre il 20%. Una contrazione derivata soprattutto dal calo delle copie vendute e dalla pubblicità su carta (che per il 40% degli intervistati è stato di oltre il 20%). Leggermente migliore la situazione nel 2010. Quest'anno la quota di imprese che ha subìto un calo di oltre il 20% dei ricavi è scesa al 18%.

Un business che è stato relativamente colpito dalla crisi è invece quello dell'online, che da diversi anni fa registrare tassi di crescita a due cifre. Nel terribile 2009, il 7,8% degli intervistati ha visto salire di oltre un quinto i ricavi dall'advertising su internet e circa il 70% non ha subìto una contrazione di redditività di questo canale. La situazione è migliorata nel 2010: quasi il 10% degli intervistati ha avuto una crescita di oltre il 20% dei ricavi pubblicitari su internet. E questo trend non riguarda solo l'advertising ma anche la voce "online content revenue", cioè la diffusione di contenuti a pagamento.

L'opinione di Erik Willberg è che «i giornali di carta lentamente spariranno, soppiantati dalle edizioni elettroniche». Il problema è che questo processo non è attualmente sostenibile perché il segno più alla voce online non compensa il segno meno alla voce carta. L'unica strada è quella di fare pagare i contenuti online. Per farlo occorre non perdere il treno dei tablet: «La diffusione di iPad e altre piattaforme simili è un'opportunità da non lasciarsi scappare. Solo così l'informazione potrà tornare ad essere redditizia», dice.

Chi invece non è convinto che questo processo avverrà in maniera così radicale è Giovanni Di Lorenzo. Origini italiane ma tedesco al 100%, dal 2004 è direttore del Die Zeit, caso più unico che raro di di settimanale che invece di perdere continua ad aumentare le copie vendute in edicole. «Non ho idea di quello che sarà il futuro del nostro settore - risponde a chi gli chiede consigli - ma sono sicuro che quello che farà la differenza sarà sempre e comunque la qualità. Certo ci sarà un consolidamento dei grandi giornali in tutto il mondo ma la carta rimarrà ancora a lungo e credo che solo noi giornalisti potremmo contribuire a mantenerla in vita, producendo contenuti originali e costruendoci giorno per giorno la nostra autorevolezza».

Di Lorenzo infine contesta che, per rincorrere i social network e la rete, i giornali debbano produrre un'informazione più sintetica. Tutt'altro. «Molti dei nostri lettori sono ventenni e ci chiedono articoli lunghi e approfonditi».

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