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Facebook ha violato la privacy di milioni di utenti con Farmville e altre applicazioni, dice il Wsj

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2010 alle ore 09:38.

Che le promesse si traducano in menzogne o il rigore in un colabrodo è possibile. Per questo la grande giuria di 500 milioni di utenti di Facebook oggi si interroga inquieta dopo la denuncia notturna del WSJ di una violazione strutturale della privacy di decine di milioni di iscritti al sito "sociale" più grande mondo: Ci sono anch'io? Sono forse finito nel buco nero della Rete, nelle banche dati di grandi aziende pubblicitarie, nei computer di specialisti di marketing, negli archivi di grandi multinazionali al consumo, con i miei dettagli, le mie abitudini, le mie preferenze, i miei orientamenti, i miei sentimenti condivisi in discrezione con amici?

Sono potenzialmente nudo davanti al mondo esterno per aver dato fiducia alla promessa di assoluta, di inviolabile discrezione espressa con solennità dal miliardario bambino, dal fondatore del sito, da Mark Zuckerberg in persona? Soprattutto questa violazione di privacy è in buona fede? Un semplice errore? O è in mala fede, lo zuccherino concesso a clienti importanti che devono toccare con mano il potenziale di una miniera di dati senza precedenti nella storia delle comunicazioni?

Veniamo ai fatti, alle rivelazioni. Secondo il Wall Street Journal numerose fra le più amate e diffuse applicazioni di Facebook hanno trasmesso informazioni personali - nome degli utenti, e in alcuni casi quello dei loro amici con correlate informazioni personali di ogni genere – a dozzine (sembra che siano almeno 25) di società pubblicitarie e di ricerche di mercato su Internet. La vicenda, rivela il Wall Street Journal in un'inchiesta a tutto campo, riguarda decine di milioni di utenti Facebook, anche coloro che avevano raccolto la mano tesa di Zuckerberg, la sua promessa, e avevano scelto di rendere il proprio profilo completamente privato.

Questi sviluppo viola chiaramente le regole di trasparenza a cui Facebook ha detto più volte di attenersi. Ed è un nuovo campanello d'allarme per i rischi di violazione della privacy degli utenti del sito e più in generale di siti dedicati al social networking. Le applicazioni consentono agli utenti di giocare fra loro, in molti casi non sono realizzate da Facebook, ma da produttori di software indipendenti. Quelle "incriminate" sono Farmville, di Zynga Game Network Inc che ha ben 59 milioni di utenti, Texas HoldEm Poker e Frontierville. Queste tre applicazioni avrebbero trasmesso anche dati personali di "amici" dell'utente. Dopo le rivelazioni del WSJ Facebook ha congelato le applicazioni. Ma intanto i dati sono partiti. Un portavoce di Facebook ha fatto la seguente dichiarazione:"La password di un utente può essere stata condivisa inavvertitamente da un browser di Internet dell'utente o da un'applicazione. La password da sola (l'users ID) non consente l'accesso a informazioni private di alcuno su Facebook".

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Vero? Sembra di no: il WSJ sottolinea che il possesso di un "User's Id" consente l'accesso ai dossier più riservati dell'utente, alle foto, all'età, all'occupazione alla sua residenza. Abbiamo appreso inoltre che la maggioranza delle agenzie coinvolte ricavano profili setacciando le attività online di utenti Internet. In particolare RapLeaf online, ha inserito nel proprio database informazioni personali di utenti Facebook, ricavate attraverso le applicazioni, vendendo poi questo "pacchetto" ad altre società, tra cui anche Invita Media, controllata da Google. Insomma il disastro annunciato si è verificato. Vi rimando a un mio articolo che scrissi lo scorso giungo, quando incontrai Mark Zuckerberg a Ranchos Verdes, promontorio da sogno sull'Oceano Pacifico a sud di Los Angeles.

Già allora era evidente quanto i rischi di una violazione di privacy fossero possibili. Già allora il dibattito era nazionale, riguardava il Congresso, le autorità di controllo canadesi, il settore infotech, gli utenti e dominava il convegno "All Things Digital" uno degli appuntamenti annuali più importanti del settore.

Facebook si ripete. Ieri ha anche annunciato di aver introdotto nuovi algorimti per risolvere il problema "abbiamo una politica di coercizione durissima" ha detto ancora il portavoce al Wall Street Journal. E' mala fede? E' buona fede? Tutti insistono sulla coincidenza fortuita. Anche i responsabili di Familybuildierm, una delle applicazioni sotto accusa, o Zynga, hanno smentito di aver in alcun modo favorito la distribuzione di dati. Ma qualcosa è successo. Facebook lo ha ammesso. Ma ha rivendicato innocenza e buona fede, appunto l'interrogativo che tutti si pongono il "giorno dopo".

L'intera vicenda ha il sapore di una saga con molti scenari e trame diverse che si inseguono fra loro. Intanto non può sfuggire che ormai da molti mesi il Wall Street Journal si è lanciato come un mastino su ogni algoritmo di Facebook, il sito che ha ridicolizzato MySpace, altro sito sociale controllato da Newscorp, pagato da Rupert Murdoch 580 milioni di dollari nel 2005. Nel 2006 MySpace sembrava ancora un ottimo affare. Aveva superato con un iscritto olandese la soglia dei 100 milioni di utenti. Ma c'era un "underdog". Uno sfavorito per definizione: senza i miliardi, senza i muscoli e senza il networking di una struttura di infomedia integrata come quella di Murdoch. Facebook aveva già fatto capolino dai dormitori di Harvard sullo scenario mondiale.

Oggi la situazione la conosciamo: Facebook ha 500 milioni di utenti, MySpace è caduto a 60 milioni. Ci sono anche molte ironie del destino nell'interrogativo sulla buona fede. E' un interrogativo che giunge nel momento in cui il personaggio Mark Zuckerberger esce male, paranoico, vendicativo, egoista, privo di scrupoli nel grande film di David Fincher "The Social Network". Mala fede? Non sembra preoccuparsi troppo quando tiene sulla corda i due fratelli gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, belli ricchi e campioni olimpici di canottaggio che avevano avuto l'idea di un sito per socializzare e lo avevano "assunto". Ne' Zuckerberg sembra preoccuparsi quando scarica il suo amico di sempre, il suo co-fondatore Eduardo Saverin. La meta inevitabile e forse persino giusta dal punto di vista di un imprenditore visionario che non può perdere tempo è quella del successo della vittoria.

I fratelli Winklevoss si allenavano per il canottaggio, il suo amico Eduardo andava a fare gli stage a New York, ma lui, Mark, lavorava inflessibile, senza tregua, per inseguire la sua straordinaria visione. Per restare "cool", "fico", credibile, ammirato. Non c'e' dubbio che un "breach of security", una falla nella sicurezza, voluta o no sia uno scivolone pericoloso. Pericoloso soprattutto perché diventa "Uncool", sfigato. E proprio lui, il grande giovane Mark, un po' sfigato per definizione (vi rimando a questo curioso quadretto che ha costruito il sito sociale più importante del mondo) anche perché si sentiva tagliato fuori ora deve convincere di poter permeare le pareti che lui stesso aveva sfondato nel suo primo esperimento dai dormitori di Harvard, rubando foto e immagini dal cervellone impenetrabile dell'Università. Caro Mark, anche se sei in buona fede, se lo hai fatto tu stesso, era inevitabile che l'esperimento riuscisse a qualcun altro, con foto, documenti e dati che pensavano sicuri esposti al consumo di statistici di mercato.

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