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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 19:18.
La sicurezza informatica è tornata prepotentemente alla ribalta delle cronache nelle ultime ore. E fra i diretti interessati ai recenti eventi c'è il Congresso degli Stati Uniti. L'ultimo rapporto annuale stilato dalla US - China Economic and Security Review Commission - presentato due giorni fa a Washington ha confermato come lo scorso aprile, per una ventina di minuti, il 15% dell'intero traffico Internet del pianeta sia stato reindirizzato sui server di alcuni provider asiatici.
Una parte delle comunicazioni telematiche "dirottate" erano per l'appunto americane. L'episodio ha messo in allarme le autorità americane per un semplice motivo: i dati di Nasa, Air Force e altri uffici militari e governativi, nonché quelli di molte aziende private statunitensi, potrebbero correre un serio rischio perché dietro l'anomalia ci sarebbe lo zampino di China Telecom e di conseguenza il governo cinese.
L'ipotesi dell'errore tecnico e incidentale (non voluto e programmato dunque) non è comunque da escludere ma il fatto che molti documenti riservati in transito sui siti Web del Senato, dell'Ufficio del segretario della Difesa e del dipartimento del Commercio Usa possano essere stati intercettati e finiti in mano cinese desta ovviamente preoccupazione nelle stanze dei bottoni a stelle e strisce. La stessa Commissione non ha saputo chiarire se si tratti in effetti di un avvenimento doloso ma gli esperti, vedi per esempio Dmitri Alperovitch, vice presidente di McAfee, sono di fatto convinti che si tratti di "uno dei più grandi attacchi di hijacking, o forse il più grande in assoluto, che si siano mai visti". Il fenomeno dell'Ip hijacking si verifica quando un router impone una rotta diversa al traffico dei dati sulla Rete, indicando come percorso migliore un nodo, configurato ad arte per risultare agli occhi dei server mittenti del pacchetto come l'algoritmo da preferire, differente da quello abituale. Da Pechino sono arrivate, con una missiva inviata alle agenzie di stampa internazionali, pronte smentite e secche negazioni di responsabilità ma il dubbio che si sia aperto un nuovo pericoloso fronte di guerra cybernetica fra le due superpotenze rimane.
Amnesty International denuncia: donna condannata ai lavori forzati per messaggio su Twitter. Con gli Stati Uniti c'entra poco ma con il controllo sulle comunicazioni Internet ha molto a che fare la notizia che una 46enne cinese, tale Cheng Janping, sia stata condannata ad un anno di lavori forzati per aver inviato tramite il social network Twitter un messaggio satirico a danno dei partecipanti a delle manifestazioni anti-giapponesi risalenti allo scorso settembre, nate in seguito all'arresto del capitano di una nave cinese da parte della marina nipponica nelle acque dell'arcipelago delle isole Diaoyu. A rendere noto il fatto è stata Amnesty International, che ha evidenziato come la condanna sia stata giustificata per "turbativa dell'ordine sociale": la malcapitata internauta cinese aveva in realtà aggiunto solo una coda ironica al "tweet" inviato dal suo fidanzato ai propri contatti. Ora rischia di spaccare pietre per un anno e di diventare la prima utente del cyberspazio condannata per un reato di opinione commesso tramite un social network.