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Tecnologie Computing

Nella guerra dei pc i produttori asiatici sono in vantaggio, ecco perché

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 14:12.

Nell'ultimo trimestre del 2010 le vendite di computer sono cresciute nell'ordine del 3%, per un totale di circa 93 milioni di unità spedite. Un dato che gli analisti di Idc hanno registrato sotto le aspettative - la frenata è essenzialmente dovuta alla concorrenza dei tablet - e inferiore a quello che ha espresso la domanda di smartphone, salita nell'ultimo periodo dell'anno oltre quota 100 milioni.

Considerando l'intero anno, i pc finiti sul mercato sono stati circa 350 milioni, gli smartphone poco più di 300 milioni e i tablet circa 15 milioni. Il 2011 potrebbe però segnare un punto di svolta fondamentale, e cioè registrare una domanda aggregata di super cellulari e tavolette superiore (parliamo di oltre 400 milioni di pezzi) a quella dei tradizionali computer da tavolo e portatili. La tendenza che vede consumatori, professionisti ed aziende più propensi ad acquistare telefonini intelligenti e tavolette, piuttosto che notebook e desktop, è però solo una delle facce che sta caratterizzando la nuova era di un'industria che fino al decennio scorso era di fatto in mano ai produttori americani.

Oggi, invece, e a maggior ragione in prospettiva, ad avere le carte più importanti da giocare nella guerra per la supremazia nei personal computer sono le aziende asiatiche, e in particolare quelle cinesi e taiwanesi: Acer, Lenovo e Asus. Le prime due sono attualmente seconda e quarta nel ranking delle vendite mondiali, dietro rispettivamente Hewlett Packard e Dell, la terza ha conosciuto negli ultimi anni una crescita poderosa (arrivando alla sesta posizione della top ten mondiale, dietro la giapponese Toshiba) soprattutto in alcuni mercati e per specifiche categorie di prodotto, netbook in primis. Il punto chiave della questione è il seguente: in alcuni Paesi, i produttori asiatici hanno già superato quelli americani, assai meno agguerriti sotto il profilo commerciale e in parte anche distratti da questioni legali e lotte di potere interne.

Non meno rilevante è il fatto che la Cina sia diventata un riferimento fondamentale tanto come mercato di sbocco quanto come bacino cui attingere i componenti. Una realtà che favorisce chi, in Cina, ha da tempo concentrato le sue operations. In poche parole, l'equazione alla base dell'industria dei computer fino ai primi anni 2000 – i marchi leader di mercato erano americani, i grandi produttori erano taiwanesi e cinesi – è cambiata e a fare la voce grossa a livello globale sono per l'appunto brand come Acer o Lenovo. Quest'ultima, dopo aver comprato la divisione pc da Ibm nel 2005 e conosciuto un periodo di involuzione, pare pronta al definitivo salto di qualità e non trascura azioni mirate per aumentare la propria presenza nei mercati chiave, vedi in tal senso la joint venture che andrà a costituire (investendo 175 milioni di dollari) con Nec per ampliare il proprio business in Giappone, il terzo più grande bacino di vendita di computer a livello mondiale.

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Chi vincerà la sfida nell'immediato futuro? Alcuni analisti sono propensi a credere che l'asso nella manica delle aziende taiwanesi risieda nel "libero" scambio commerciale (capitali, persone e ovviamente anche tecnologie) oggi in essere fra Taiwan (fino a qualche anno fa considerata dal governo di Pechino una sorta di provincia minore) e la Cina. Nel grande Paese asiatico, non a caso, Lenovo fa la parte del leone catturando circa il 10% della domanda di computer mentre Hp e Dell si devono accontentare ciascuna di una quota non superiore al 10%. La fetta rimanente della torta se la spartiscono sostanzialmente Acer (che in loco sta aprendo nuove fabbriche), Asus e due produttori locali, Tongfang e Founder Group. Per il momento almeno, la situazione è ben diversa negli Stati Uniti, dove Hp e Dell sono nettamente in vantaggio sulla concorrenza asiatica, che vanta quote di mercato dimezzate (nel caso di Acer) o pari a un quarto (Lenovo) di quelle delle rivali a stelle e strisce. Queste ultime, però, non hanno mai prestato troppa attenzione al segmento dei netbook, su cui invece i vendor taiwanesi e coreani (Samsung) hanno costruito la propria scalata nel mercato nordamericano ed è tutto da capire come affronteranno la nuova sfida dei tablet.

Apple con l'iPad ha cambiato le carte in tavola mettendo in ombra il fenomeno dei pc bonsai, che rimane però una voce importante nell'economia del business dei computer portatili, e costretto l'intera concorrenza a cavalcare il filone dei dispositivi touchscreen. Filone che le varie Acer, Asus, Lenovo e Samsung hanno dimostrato di tenere in grandissima considerazione visto e considerato gli annunci di prodotto in serie – quasi tutti all'insegna di Android, la piattaforma operativa di Google - registrati al Ces di Las Vegas solo un mese fa.

Per contro Hp ancora deve portare sul mercato i primi frutti, sottoforma di tablet, dell'investimento da 1,2 miliardi di dollari operato per comprare Palm e al momento si è limitata a lanciare una tavoletta professionale, lo Slate 500, costruita su Windows 7. Da parte sua Dell un paio di prodotti con Android (lo Streak da sette pollici) li ha già resi disponibili anche fuori dagli Usa ma con scarsi risultati di vendita se paragonati per esempio a quelli ottenuti da Samsung con il suo Galaxy Tab. In buona sostanza, se i vendor americani vorranno anche in futuro avere in mano il pallino dell'industria del computing non si possono più permettere passi falsi. Perché la concorrenza, seppur oggi ancora indietro quanto a volumi di vendita, sembra poter partire avvantaggiata.

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