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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 16:10.
Nel 2020 un lavoratore su tre svolgerà un'attività creativa. Nel mondo ci saranno un miliardo di persone in più rispetto a oggi. Le donne saranno al centro del sistema sociale e ne gestiranno il potere. La Cina sarà il maggior acquirente di automobili. I chip diventeranno grandi come neuroni. Ogni ventenne avrà una quantità di tempo libero cinque volte superiore al tempo di lavoro. L'istruzione muterà in formazione permanente. Estetica ed etica diventeranno fattori competitivi. L'ingegneria genetica farà parte della vita quotidiana.
Tutto questo e molto altro accadrà, nel 2020. Indipendentemente da quello che nel frattempo avremo deciso di mettere, o non mettere, in agenda. Stabilire oggi una lista di priorità ci aiuterebbe, però, ad accogliere il futuro quando esploderà nella sua inquietante, ma prevedibile e governabile, complessità.
Da due anni il sociologo Domenico De Masi insegue, insieme al suo staff, questo esercizio: fissare, in dieci punti, i trend di sviluppo che seguiranno il pianeta e i suoi abitanti. È il suo contributo per tutti coloro – Onu, Unione Europea, Governi nazionali, grandi aziende – che dovranno riempire di priorità l'agenda dei prossimi dieci anni. Per farlo ha chiesto in prestito le visioni di manager, imprenditori e studenti di Cina e Brasile – i due paesi dove il futuro si avvicina più velocemente – chiedendo loro di puntare lo sguardo sul 2020 e raccontare quel che vedono. I risultati, suggestivi, sono riportati in queste pagine.
«L'idea – racconta De Masi – mi è venuta in Cina, a Pechino. Parlando con interlocutori diversi, mi sono reso conto che avevano una visione del futuro comune. E diversa dalla mia. La mia è pessimista, perché vivo in un paese che attraversa una fase di pessimismo. Loro mostravano più ottimismo». Seguendo questa intuizione, De Masi ha avviato la sua ricerca formando un focus group qualificato: docenti di economia e sociologia, imprenditori, manager cinesi hanno discusso del futuro del mondo nel 2020. «Qualche mese dopo mi trovavo in Brasile e decisi di replicare l'esperienza fatta a Pechino». Da allora la ricerca ha coinvolto circa 200 personalità altamente qualificate, 2mila tra manager e imprenditori, 800 studenti universitari.
Il risultato dell'indagine? In Cina e Brasile si diradano le nebbie del pessimismo ed è più facile scorgere il futuro. Poco importa se le previsioni siano più evocative che corrette, più misurate che visionarie. Quello che conta è alzare lo sguardo. «Nei paesi dove l'economia cresce si respira l'esuberanza dell'Italia degli anni 60 – perché, spiega il sociologo, –, l'ottimismo non ha nulla a che fare con la ricchezza». Al contrario, «si alimenta della speranza della ricchezza». Come dimostra anche la parabola italiana: oggi un italiano è, mediamente, dieci volte più ricco di un cinese. Ma a differenza di un cinese ha meno fiducia nel futuro.