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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2012 alle ore 20:11.
Nel 1854 l'epidemia di colera che flagellava Londra è stata fermata grazie a quella che viene considerata la prima applicazione della città intelligente. Un medico, John Snow, ebbe l'idea di mappare i casi di contagio direttamente sulla cartina della città.
Fu così che l'epicentro del contagio venne identificata in una fontana pubblica in Broad (oggi Broadwick) Street: con la chiusura della pompa, il numero di casi iniziò immediatamente a scendere. È il primo caso significativo di utilizzo dei dati prodotti inconsapevolmente dalle persone per ottimizzare i servizi all'interno della città, quello che in slang contemporaneo si chiama Big Data.
È questo il cuore della sfida che si trovano ad affrontare la città nel nuovo millennio, il fulcro dell'economia del futuro. Bastano pochi numeri per comprendere la posta in gioco: più del 50% della popolazione mondiale si trova già oggi concentrata sul 2% del territorio globale, consumando tre quarti dell'energia e producendo l'80% dei gas serra, ed è dalle 600 città più grandi che arriverà più della metà del Pil globale.
È necessario quindi che questi agglomerati crescano all'insegna dell'efficienza e del miglioramento della qualità della vita, anche attraverso l'uso intelligente dei dati. Per sostenere le città italiane, medie e grandi, in questa sfida Cittalia, l'ufficio studio dell'Anci, l'associazione che raggruppa i comuni italiani, ha elaborato per conto di Siemens una rilevazione della situazione attuale e delle prospettive nel cammino verso la smart city. Per una creascita sostenibile, vale a dire «possibile», sottolinea Federico Golla, l'ad di Siemens Italia, è necessaria «la convergenza dell'istruzione complessiva dei cittadini, di una smart economy fatta di infrastruttre e investimenti e di una governance che sia basata su una visione».
Sulla strada verso la città intelligente la disponibilità delle tecnologie deve andare di pari passo con un cambio di prospettiva. A partire «dal coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e nelle scelte di indirizzo, sia con la semplice rilevazione dei comportamenti attraverso i sensori o con la condivisione via social network», spiega Paolo Testa, direttore ricerche di Cittalia e curatore della ricerca per Siemens.
Quel che è chiaro è che la via italiana alla smart city deve avere delle sue specificità, che si fondano sulla cultura e sulla storia italiana, come è sotteso anche all'Agenda digitale: «Le città italiane hanno una struttura e una storia uniche al mondo, con uno sviluppo orizzontale e concentrato in pochi chilometri quadrati», aggiunge Gabriella Chiellino, responsabile scientifico di Ecomondo, sottolineando come il know-how nazionale debba diventare un valore economico per il Paese.
Troppo spesso, invece, ancora oggi le città agiscono come se il modello fosse unico, puntando sugli stessi settori. Così la ricerca di Cittalia evidenzia come gli investimenti dei comuni italiani nei Piani triennali di intervento delle singole città siano dominati dalla mobilità: 10,7 miliardi di euro, quasi la metà degli interventi previsti per la sostenibilità. Magari anche quando la mobilità non è una priorità per il comune. «La smart city - accenna Testa - nasce da una policy complessiva e integrata con una startegia di fondo, non da tanti interventi settoriali parcellizzati». È un errore che le città fanno spesso: partono con singoli investimenti, senza avere una visione complessiva. Il rapporto delinea quindi dei cluster di città sulla base dell'omogeneità di problemi e di risposte, proprio per favorire il confronto tra attori con politiche e priorità simili, dal trasporto alla sanità, dall'energia al territorio.
Si torna sempre allo stesso punto: nel momento in cui i Comuni denunciano una evidente carenza di risorse e allo stesso tempo sono sottoposte alla pressione dei cittadini per un'azione immediata, le città sono invece chiamate ad avere una visione di lungo periodo. Che vada oltre il loro mandato elettorale, il che evidentemente rappresenta un problema. Forte della sua analisi, Testa rilancia: la smart city diventa davvero intelligente (e vincente) se si cambia la prospettiva. «Bisogna ripensare la città come luogo di produzione e di sviluppo dell'economia della conoscenza, non solo come semplice base di consumi da razionalizzare e organizzare». Ogni città deve quindi individuare una propria vocazione produttiva, non necessariamente standardizzata ad altri modelli. Un esempio per tutti? Reggio Emilia, che ha saputo trasformare la sua specializzazione nell'educazione in un'eccellenza a livello globale e in una risorsa economica. Da questo devono ripartire le città italiane, da una visione integrata e di lungo periodo.
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