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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2012 alle ore 15:00.

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I media e le conoscenze formano un intreccio nel quale ci si perde o ci si trova. La struttura mutante dei primi influenza le seconde. E viceversa. Si può soffocare per mancanza di accesso all'informazione come per eccesso di dati. Mail, social network, web, giornali, televisione, radio, cartelloni stradali, telefonate, sms, assediano di messaggi le vite quotidiane degli occidentali e inducono a lamentare l'information overload, il sovraccarico informativo, motivo di disattenzione o addirittura ignoranza. Ma d'altra parte i critici più socialmente avvertiti non cessano di combattere le varie forme contemporanee di esclusione, dal digital divide all'analfabetismo funzionale. «La conoscenza non è più quella di una volta» sorride David Weinberger, filosofo della rete, nel suo ultimo libro, "La stanza intelligente. La conoscenza come proprietà della rete", appena tradotto da Codice Edizioni.

In che cosa è cambiata la conoscenza? «Era un insieme di contenuti; ora è la stessa rete». Weinberger risponde gentile alle domande via mail, mentre il suo viaggio di ritorno a Boston dall'Italia, dove era stato per il Festival della Scienza di Genova, è dirottato a Londra per l'uragano Sandy. «La conoscenza era un insieme di "affermazioni" che ritenevamo vere, scegliendole tra tutte le affermazioni in competizione. Era un sistema che funzionava in modo da rispondere alle domande. Era immensamente efficiente. Queste proprietà della conoscenza erano anche le proprietà del mezzo che consentiva l'accesso: carta, libri, biblioteche. I vecchi media limitavano la dimensione della conoscenza. Il che era ragionevole perché fin dall'origine il nostro scopo era comprendere un vastissimo universo con i nostri piccolissimi cervelli». E la stessa gerarchia del sapere, dai dati alle informazioni, dalle interpretazioni alla saggezza, era un percorso nel quale agivano in parallelo le autorità garanti della correttezza delle conoscenze e i mezzi di registrazione e comunicazione.

«Ma oggi il nuovo medium della conoscenza è internet. E la conoscenza sta assorbendo le proprietà della rete. Ora la conoscenza può crescere senza limiti di dimensioni – perché non dobbiamo fare posto a una nuova informazione togliendone una precedente, come avveniva sugli scaffali delle biblioteche – e tutte le conoscenze possono essere linkate tra loro. Il che significa che non solo si pubblica ogni dato e qualunque idea, ma ciascun elemento è collegato a molti altri, in reti di discussioni e commenti. Sicché la conoscenza non è più un percorso lineare di domande e risposte, ma diventa una complessa galassia di link che inducono nella tentazione di cliccare in ogni direzione per non fermarsi mai».

Esempi? «Quando è nato, il knowledge management era un sistema per filtrare e comunicare le informazioni aziendali di maggior valore ed eliminare il rumore. Il successo del web ha trasformato il knowledge managment in un sistema di servizi che connettono le persone in reti nelle quali le discussioni sono vivaci e le conoscenze acquisite sono messe costantemente in discussione».

Ma che cosa succede alle autorità che un tempo incarnavano la conoscenza o almeno la distinzione tra la conoscenza attendibile e il resto? «Il ruolo degli esperti sta cambiando a sua volta. Un tempo ci si rivolgeva alle autorità accreditate per ottenere risposte. Ora si va sul web per trovare esperti più o meno accreditati che sono impegnati in accese discussioni tra loro. Nella migliore delle ipotesi queste discussioni producono diversi punti di vista che si illuminano a vicenda e che allargano la qualità delle risposte. Nella peggiore delle ipotesi quelle discussioni diventano battaglie selvagge tra opinioni incompatibili. O peggio ancora si trasformano in cori di voci perfettamente omogenee nei quali tutti sono d'accordo». Cioè? «Sarebbe bello un mondo in cui tutti sono in armonia. Ma si scopre che il disaccordo accresce la conoscenza».

Bene. Ma come funziona la generazione della conoscenza nelle organizzazioni non gerarchiche ma basate sulla struttura della rete? «L'esempio è Wikipedia. Oppure il sistema operativo Linux. Le organizzazioni basate sulla rete hanno dimostrato di poter arrivare a risultati che le strutture gerarchiche non potevano realizzare». Ma che cosa vuol dire che la stanza è intelligente? «Gli esperti sono persone di grande valore. Ma gli individui possono avere solo conoscenze limitate. Per consentire alla conoscenza di crescere abbiamo bisogno di esperti che conversano attraverso una delle molteplici forme di interazione che il web rende possibili. Una rete di conoscenze genera una conoscenza più grande della conoscenza di ciascuna persona connessa. La persona più intelligente che c'è in una stanza è la stanza stessa». Ma se la rete consente la pubblicazione di qualunque cosa, se i filtri vengono applicati dopo la pubblicazione – e non più prima – qual è la strategia emergente per scegliere la conoscenza di qualità? «Abbiamo bisogno dei filtri tradizionali applicati da curatori professionali. E abbiamo bisogno anche di filtri che usano algoritmi e reti sociali per trovare quello che giudicheremo utile e interessante. Abbiamo bisogno di nuove università che funzionino non solo in base alla presenza fisica in un campus ma anche attraverso la rete. Abbiamo bisogno di generare conoscenza con nuove istituzioni inclusive e non più soltanto esclusive».

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