L'economia mondiale «è uscita dalla china di terrore, ha evitato di ripetere il disastro del '29. I dati dell'economia reale lo dimostrano e oggi lo scenario è di moderato ottimismo, un ottimismo superiore alla media».
Ne è convinto Alberto Alesina, docente di economia ad Harvard, che è intervenuto venerdì al convegno organizzato da Ernst & Young sulle prospettive nel rapporto tra banche e imprese dopo la crisi economica.

Alesina, il quale sin dall'inizio della crisi si era detto convinto che «non sarebbe stato un nuovo '29», non nega le difficoltà che restano da superare, primo fra tutti l'aumento della disoccupazione. «Credo però che non dovremo stupirci - spiega - se ancora per qualche mese assisteremo ad un aumento della disoccupazione. Il mercato del lavoro reagisce sempre in ritardo rispetto al Pil perchè tra la produzione e i nuovi posti di lavoro ci sono di mezzo le scorte».

Sotto questo aspetto, l'Europa nelle serie storiche mostra una maggiore debolezza nella velocità della ripresa rispetto agli Stati Uniti. «Dai precedenti è evidente che in molti paesi europei la maggiore rigidità del mercato del lavoro rallenta gli effetti dell'attività economica sull'occupazione, sia in discesa ma soprattutto nelle fasi di risalita». In ogni caso, «la ripresa c'è e ora bisogna trovare il difficile equilibrio tra rientro degli aiuti e sostegno della domanda, ma 12 mesi fa chiunque avrebbe firmato per accettare lo scenario di oggi».

Alesina, che definisce «prudenti» le previsioni del Fondo monetario internazionale, sottolinea come per la prima volta nella storia recente Asia e America Latina stiano trascinando il resto del mondo. Gli Stati Uniti sono più avanti della zona euro e i paesi del centro ed est Europa sono usciti dalla fase di estremo stress di qualche mese fa.

Tra Scilla e Cariddi
Il nodo è ora quale dovrà essere la velocità con cui le banche centrali e i governi dovranno rientrare dalla politica espansiva. «È solo una questione di tempo - ha detto Alesina - ma dopo più di un anno di politiche espansive occorrerà tirare i remi in barca. Le banche centrali dovranno muoversi sul filo del rasoio, tra Scilla e Cariddi, tra il rischio di riaccendere l'inflazione e quello di precipitare nella deflazione».

Secondo l'economista, editorialista del Sole 24 Ore, il nodo centrale è la riduzione della spesa pubblica «ma ciò non è affatto scontato». L'economista sostiene che «gli stimoli più efficaci nel contrastare la recessione sono stati quelli di riduzione delle imposte, mentre le misure di espansione della spesa hanno prodotto effetti molto limitati, a cominciare dal Tarp».

Il dilemma di Obama
Il dilemmma e allo stesso tempo il paradosso per gli americani è quello di dover stimolare la crescita dei consumi ma favorire anche la crescita del risparmio delle famiglie, nel tentativo di ridurre gli squilibri della contabilità nazionale. «L'unica soluzione - afferma lo studioso - è aumentare il reddito disponibile degli americani in una misura tale che consenta loro di aumentare sia i consumi che i risparmi». Una sfida non semplice, «ma gli americani dovrebbero preoccuparsi se la riduzione del deficit avvenisse attraverso un aumento del peso fiscale». L'esito del voto in Massachussetts, da questo punto di vista, ha in sé un aspetto positivo perchè «spinge la politica del governo Obama verso il centro e la allontana dal populismo».

L'Eurozona e le critiche all'Italia
Quanto alla zona euro, Alesina ritiene che la Bce e la moneta unica siano uscite rafforzate dalla crisi. La banca centrale «si è mossa bene, agevolata da una maggiore indipendenza» rispetto alla Fed. Senza «l'ombrello» dell'euro paesi come la Grecia , il Portogallo, la Spagna e l'Italia «difficilmente avrebbero evitato una crisi valutaria». Anche sulle difficoltà di alcuni paesi dell'area euro, l'economista apprezza le mosse della Bce: «La banca centrale non puo' modificare per aiutare due paesi come Grecia e Portogallo che hanno ccomunque un peso limitato, con il rischio di danneggiare l'intera Unione monetaria».
Perciò gli euroscettici «si sono completamente zittiti. Per ora. Tra qualche anno aspettamoci comunque che tornino a dire che l'economia non cresce per colpa della politica monetaria, quando invece il problema è che non riescono a riforme le economie».

L'Italia «avrebbe avuto bisogno di politiche più espansive, ma ogni manovra anticrisi è stata bloccata dall'enorme debito pubblico e le riforme attese (welfare, tagli delle spese discrezionali in primis) non sono state realizzate. Si poteva cogliere l'occasione della crisi per sciogliere i nodi strutturali che hanno frenato l'economia italiana negli ultimi vent'anni, ma invece si è continuato a dire che va tutto bene, che il paese è la nuova tigre d'Europa e sta uscendo dalla crisi più rapidamente degli altri. Purtroppo questo non è vero e non c'è alcun dato che possa dimostrare il contrario. C'è l'ossessione delle infrastrutture, nell'illusione che la carenza di infrastrutture fisiche sia la causa del ritardo italiano. Io sono convinto che quello che manca al paese siano infrastrutture immateriali: l'ordine pubblico, la giustizia, le regole di mercato.

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