Reagiscono per combattere una crisi, che sarà lunga e potrebbe durare altri due anni. Come? Investendo: l'ha fatto, dentro il territorio italiano, quasi il 60% delle imprese e un altro 12,9% ne ha l'intenzione in un prossimo futuro. E puntando su quei fattori che ritengono decisivi per la crescita: innovazione di prodotto e di processo, nel 90% dei casi; ma anche una maggiore aggressività commerciale (86,6); l'ingresso in nuovi mercati esteri (64,1); maggiori investimenti sul marchio (61,2).

Preoccupati ma fiduciosi
Certo, gli imprenditori sono preoccupati: il 46,9% crede che la competitività dell'Italia nei confronti degli altri paesi sia diminuita (per il 33,7% è rimasta uguale) e che la ripresa sarà lenta: per il 57,3% ci vorranno due anni e anche di più per chiamarci fuori. E a soffrire di più è l'industria manifatturiera, l'ossatura portante del nostro sistema imprenditoriale: il 38,6% ritiene che tra cinque anni la competitività di questo segmento sarà peggiorata (il 30% pensa invece l'opposto).
Servono le riforme, per migliorare il contesto, anche se il 52,5% degli imprenditori pensa di farcela e anzi di essere più competitivo, nonostante i pronostici negativi sul sistema paese. Ma una serie di provvedimenti sono urgenti: al primo posto, meno fisco, seguito a ruota da una maggiore efficienza della Pubblica amministrazione.
È una fotografia del mondo imprenditoriale, dei suoi comportamenti e dei suoi bisogni come emerge dal sondaggio realizzato dalla Demos & Pi per Confindustria e che sarà presentato oggi pomeriggio da Ilvo Diamanti al convegno di Parma. "Libertà e benessere, l'Italia del futuro": è il titolo del dibattito, ma è anche la sfida che il mondo delle imprese chiede al governo e che sarà rilanciata dalla presidente, Emma Marcegaglia. Più libertà d'impresa per crescere, riducendo quei vincoli che sono il freno dell'economia italiana.

I due campioni
La ricerca si divide in due parti: una riguarda un campione di 620 imprenditori, titolari di aziende con più di 10 addetti, iscritte alle territoriali di Confindustria, diversificato per attività, area geografica e dimensione. L'altra, la popolazione italiana (2.206 persone), dai 15 anni in su. Obiettivo: sondare la percezione della crisi, come si reagisce, il rapporto con lo stato e il "pubblico", la fiducia delle imprese.
Le aziende del manifatturiero, specie quelle collocate in prevalenza nel settori del made in Italy, stanno subendo in modo maggiore la pesantezza della crisi globale e la rivalutazione dell'euro. La concorrenza dei paesi emergenti, Cina in testa, le spaventa più della media. Ma proprio perché percepiscono questa difficoltà spingono più di altri settori sull'innovazione (5 punti più della media) e nell'ingresso in nuovi mercati (9 punti sopra la media).

Nella meccanica conta molto l'innovazione di processo, nelle costruzioni l'aggregazione con altre imprese, nei servizi si punta ad un ventaglio di soluzioni, dall'aggregazione alla ricerca di strutture più manageriali. È la qualità del prodotto l'arma vincente che le aziende mettono al primo posto, (46,4%); al secondo c'è il prezzo, ma molto distanziato (19,4); al terzo il contenuto tecnologico avanzato (11,7).
Certo, si lavorerebbe meglio se ci fosse un fisco meno pesante, se la pubblica amministrazione fosse meno ipertrofica e più efficiente, se ci fossero infrastrutture adeguate, oltre a un minore costo dell'energia. Aspetti che gli intervistati mettono ai primi posti tra gli interventi urgenti, senza tralasciare anche l'importanza di un accesso al credito più facile.

Ancora scarsa concorrenza
Di pari passo, bisognerebbe aumentare il livello di concorrenza nel paese: lo chiede il 62,9% delle aziende e il 66,7% della popolazione. Solo per l'8,9% delle imprese va bene così, una percentuale che scende ancora di più, al 3,6%, se si considera solo la popolazione. Lo stato deve intervenire sull'economia e sul mercato solo quando c'è veramente bisogno.
Resta la conferma, emersa anche in altri sondaggi, che la gente ha fiducia nelle imprese, specie le piccole: il 62,9 degli italiani riconosce che l'industria abbia svolto un ruolo importante nello sviluppo della propria regione e per il 59,1% continuerà a farlo. Le percentuali più alte si trovano nel Nord-Est, rispettivamente 79,8 e 70%, e nel Nord-Ovest: 79,3 e 65 per cento. Nel Sud, diversamente rispetto alle altre aree, è maggiore la percentuale di chi spera nel ruolo delle imprese nel futuro (51,5) rispetto a quello svolto nel passato (43%). Guardando i settori, quello che ha più contribuito allo sviluppo secondo il sondaggio è il turismo, con il 25,6%, seguito subito dopo da industria, 16,4, artigianato, 12,5 e agricoltura, 11,1. Il commercio si attesta all'8,6, mentre la Pa al 4,7% e le banche al 3 per cento.
La crisi non ha irrigidito la società italiana: la maggior parte accetta il merito come requisito principale per la retribuzione e la carriera e considera l'impegno personale il mezzo principale per affermarsi nella vita.

Fotografia del mondo delle imprese
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