ROBERT SHILLER: «L'S&P500 è sopravvalutato» MARC FABER: «A Wall Street occasioni d'investimento», GARY SHILLING: «Usare i giusti multipli», MAURIZIO MILANO:«A Piazza Affari mercato più difficile perché laterale». SERGIO PIGOLI: «I crediti deteriorati delle banche» LUCA RAMPONI (Bcc): «Il mondo delle assicurazioni».

L'indice delle blue-chip italiane sale oppure no? Risposta degli esperti: è una fase di mercato laterale; «certo che la volatilità..»; poi il «bear market rally». Traduzione: c'è incertezza. Dagli abbozzi di exit strategy delle banche centrali ai timori sui debiti sovrani degli stati fino alla debolezza delle economie Occidentali, il cocktail è piuttosto esplosivo e crea dubbi agli operatori. Certo, si può crescere. «A fine anno vedo il mercato più in alto di dove sta adesso», dice Luca Ramponi, responsabile investimenti di Aureo gestioni, Sgr delle Bcc. Anche se, poi, Sergio Pigoli, presidente di Pigoli consulenza, specifica: «Io sono neutrale sull'equity. Un etf sull'indice? Ora non mi convince». Diverse impostazioni, insomma: il bicchiere è mezzo pieno; no, il bicchere è mezzo vuoto. Solo su un punto è concordia: «Piazza Affari va al "traino" delle altre Borse più importanti», dice Pigoli. «Milano è parecchio influenzata dall'umore delle altre piazze, la correlazione è del'80%: ma è un discorso vecchio», fa da eco Ramponi. Il messaggio? È utile guardare in casa d'altri per capire cosa può succedere in casa nostra.

Un occhio a Wall Street
Già cosa succede in casa d'altri? Robert Shiller, creatore dell'omonimo indice immobiliare ed economista alla Yale University, dice al sole24ore.com: «L'S&p500 è sopravvalutato. Ho raccolto i dati dal 1881 , misurando i prezzi delle azioni, mese dopo mese, in riferimento agli utili aziendali. Ebbene, ho scoperto che sul lungo periodo il P/e ratio del mercato è di circa 16». Attualmente l'S&P500 viaggia su multiplo di circa 20, il che vuol dire che le società quotate di Wall Street non sono proprio a sconto. «Il problema però -tiene a precisare Shiller -non è tanto che il Price earning è così alto. La vera questione è che, dal 1991, il paniere è stato al di sotto di 16, solo per sei mesi: alla fine del 2008 e nella prima parte del 2009». E quindi? «Quindi, le serie storiche e i trend del passato indicano che il P/e dovrebbe scendere: è difficile dire quando, soprattutto con il governo di Washington che continua nel programma di stimolo all'economia», ma prima o poi accadrà. Insomma, il rischio è di un calo anche perché il mercato «immobiliare - dice Shiller -potrebbe ricadere dopo un breve recupero».

«Sono daccordo», fa da eco Gary Shilling, altro influente guru finanziario d'Oltreoceano, raggiunto al telefono nel suo studio di Spriengfield nel New Jersey. «Credo che alla fine dell'anno l'indice sarà al di sotto di dove è adesso. Anche se va sottolineato un fatto». Vale a dire? « In questo momento usare solo il P/e ha poco significato». C'è una certa «somiglianza con il periodo della bolla di Internet, quando si guardavo multipli come il prezzo dell'azione sui ricavi», se non addirittura sulla page view o sui click degli internauti. Certo, Shilling un po' "provoca". Però, l'invito «è a ragionare bene sugli indicatori cui si mette mano».

Stranamente meno pessimista del solito è, invece, Marc Faber noto investitore e responsabile del The Gloom, Boom & Doom Report: «Quando i tassi d'interesse reali a breve sono negativi come adesso, l'equity , ma anche l'oro, è avvantaggiatio». «Devo dire che non ho aumentato la mia esposizione azionaria durante il calo di febbraio, perché ho qualche dubbio sulla reale sostenibilità della crescita in Cina. Comunque sia, o non sia, che l'S&P500 superi il suo massimo del 19 gennaio a quota 1.150 -spiega Faber -, credo che durante l'anno assisteremo ancora ad una correzione. Ecco, lì ci sarà eventualmente una migliore opportunità d'investimento».
(Leggi il commento completo su Wall Street di Robert Shiller, Marc Faber e Gary Shilling)

Cosa accade a Piazza Affari
Se questo, in linea di massima, lo scenario d'Oltreoceano cosa può succedere in casa nostra? «Durante la fasi di discesa - dice Maurizio Milano, responsabile analisti tecnica Gruppo Banca Sella-, il Ftse Mib ha perso di più di altri listini. Ha inciso il maggiore peso dei titoli bancari». L'indice, nel maggio 2007, era sui massimi (quota 44.365) per arrivare, con l'intermezzo Lehman, alla fossa delle marianne borsistiche del 9 marzo 2009. Di lì è partita la rimonta, conseguenza dell'eccesso di liquidità sui mercati, di tassi così bassi da non offrire valide alternative all'equity nell'investimento e di titoli oggettivamente sottovalutati. «Comunque sempre un bear market rally», dice Milano. Cioè un rialzo (+81% al 31 marzo 2010), all'interno di uno scenario negativo, «e di cui stiamo vedendo gli ultimi colpi di coda». Il Ftse Mib, negli ultimi 5 mesi, è uno dei pochi indici che non è riuscito a risalire sui livelli pre-Lehman (area 27.500-30.000). Per cui - secondo l'esperto -importante è guardarsi le spalle. «In primis, quindi, bisogna sempre monitorare che non venga "sfondato" al ribasso il livello di supporto di quota 20.000. Ciò detto l'indice ha ancora spinta per salire un po'. Un primo obiettivo è superare 24.500 punti. Se ciò accadrà, l'ulteriore target è fissato a 25.000 ed, eventualmente, verso 26.500». Quest'ultimo livello è però un'ipotesi improbabile e «se si verificasse - dice Milano -, dovrebbe essere colta per alleggerire le posizioni». Lo stesso Ramponi parla di «trading range, di movimento laterale, dove tra sali e scendi l'indice potrebbe trovarsi a fine anno un po' più in alto di dov'è adesso: l'upside stimato è del 7-8 per cento».

Il mondo delle banche
Fin qui i possibili target del Ftse Mib, ma quale l'andamento dei singoli settori che compongono il paniere di Piazza Affari? La domanda, giocoforza, è riferita in primo luogo ai finanziari che «da soli rappresentano circa il 44% del Ftse Mib», come ricorda Pigoli. In primis le banche, gioia e dolore delle Borse di tutto il mondo. «Sui i titoli delle banche - dice l'esperto- pesano ancora diverse incognite: una per tutte la spada di damocle dei crediti deteriorati, cioè i crediti per i quali è alta la probabilità di una difficile riscossione e a fronte dei quali gli istituti sono obbligati agli accantonamenti».

La qualità del credito
Tra big italiani, Intesa Sanpaolo, per esempio, ha visto - come scrive la stessa Cà de Sass «i crediti deteriorati (in sofferenza, incagliati, ristrutturati e scaduti/sconfinanti) ammontare - al netto delle rettifiche di valore - a 20,445 miliardi di euro, in aumento del 77,4% rispetto agli 11,524 miliardi del 31 dicembre 2008». UniCredit, dal canto suo, ha crediti deteriorati lordi a fine dicemebre 2009 «pari a 57,6 miliardi, mostrando un incremento del 7% trimestre su trimestre», come indica il comunicato stampa per il bilancio 2009. UbiBanca, invece, alla fine del 2009 ha dichiarato avere «crediti deteriorati netti a quasi 4 miliardi di euro, contro i 2,3 miliardi» del 2008.

«In effetti - spiega Ramponi - il tema della qualità del credito ha una sua peculiarità nel sistema Italia. Il nostro tessuto industriale, composto da piccole e medie imprese, offre spunti di debolezza che altri paesi, caratterizzati da aziende-creditrici con spalle finanziarie più grandi, non hanno». Inoltre, «la carenza di aziende a forte innovazione tecnologica, capaci di creare un indotto che necessita di prestiti per il suo sviluppo, è un altro handicap non solo per l'Italia in sé, ma anche per le istituzioni finanziarie». Gli istituti finanziari, nel processo di de-leveraging e maggiore patrimonializzazione, dovranno giustamente tornare alla loro attività di "normale" intermediazione creditizia. Ebbene, in questo ambiente «l'incontro tra domanda e offerta di credito resta difficile con, anche, una probabile ricaduta sui profitti bancari».

Le assicurazioni
Un'analisi che si concretizza in quale strategia d'investimento? «Va sottollineato che ogni banca è una storia a sé, e non si può fare di tutta un'erba un fascio. Ciò detto, questo comparto non è attualmente tra i miei preferiti». Dove guardare, allora? «Il mondo delle assicurazioni - dice Ramponi - mi sembra più appealing. L'Italia ha un tasso di risparmio delle famiglie tra i più elevati. Flussi di capitale che, a fronte di titoli di stato con rendimenti bassissimi, vengono intercettati dalla raccolta delle società assicuratrici, in particolare nel comparto Vita. Un trend che si rifletterà sulla profittabilità del settore». Diversa la risposta di Pigoli: «Io più che azionista di una banca, in questo momento ne diventerei creditore. Ci sono diverse obbligazioni interessanti». Un esempio? «L'emissione di UniCredit, con coupon di 4,125% e scadenza marzo 2012, che però ha un lotto minimo di 50.000 euro».

La regina dei dividendi?
Obbligazioni, azioni, va bene! Ma come dimenticare che Piazza Affari spesso è stata definita la regina di cedole? Di recente, complice la crisi economico-finanziaria, la remunerazione del capitale ha subito un rallentamento. Nell'ultimo bilancio, però, c'è stato un ritorno al dividendo che ha anche fatto storcere un po' il naso, come nel caso del gruppo Fiat . O di diverse banche che, cedendo alle rischieste delle Fondazioni, hanno remunerato l'azionista quando magari, proprio in previsione dei rafforzamenti patrimoniali di Basilea III, i soldi sarebe stato meglio tenerli in cassa. Si dirà: per l'investitore poco importa, se c'è la cedola il titolo è interessante. «Il discorso non è così semplicistico- ribatte Pigoli - Se compro un'azione perchè attratto dalla cedola, devo comunque preoccuparmi di come è gestita l'azienda. A stacco avvenuto, il titolo di norma cede il valore della cedola stessa e se il management non ha il sostegno del mercato il rischio della minusvalenza è dietro l'angolo». «Il dividendo -aggiunge Ramponi - in questo momento mi sembra neutrale per l'indice in sé (rendimento 3,19% secondo Bloomberg). Poi, ovviamente il discorso è sempre diverso da azienda ad azienda». E la conclusione sembra essere una: non è un più un mercato dove tutto sale senza problemi; le Borse sono diventate un terreno difficile da managgiare con molta cura.

(L'articolo non costituisce sollecitazione del risparmio e dell'investimento)

vittorio.carlini@ilsole24ore.com

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