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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 08:27.
L'ultima modifica è del 30 marzo 2011 alle ore 08:28.

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È molto opportuno che il presidente del Consiglio si rechi oggi a Lampedusa. Forse avrebbe dovuto anticipare la visita già nei giorni scorsi, come si conviene quando si crea un'emergenza e i cittadini vogliono sentire vicine le istituzioni. L'eccesso di silenzio o l'apparente indifferenza è un lusso che un capo di governo di solito non può permettersi.
Del resto lo psicodramma dei profughi è uno dei due volti della crisi internazionale in cui l'Italia è precipitata senza sapere bene come uscirne. L'altro aspetto riguarda, come sappiamo, la gestione politico-diplomatica degli eventi in Libia e il rapporto con gli alleati.

A Lampedusa si misura l'affanno o la confusione con cui si affronta l'arrivo nell'isola di alcune migliaia di immigrati. In Europa si tratta di limitare i danni, contrastando la solitudine in cui è venuto a trovarsi il governo di Roma. E qui bisogna dare atto al ministro degli Esteri, Franco Frattini, dell'impegno personale e della tenacia con cui nuota controcorrente, affrontando difficoltà inusuali e quasi mai dipendenti da lui.
Tuttavia la scarsa rilevanza dell'Italia sulla scena internazionale è sotto gli occhi di tutti, nonostante alcuni riconoscimenti minori (il comando navale delle operazioni di embargo, una prossima riunione a Roma del «gruppo di contatto»). Tanto più leggero è il peso politico del nostro governo, tanto più difficile è restare nel cuore delle decisioni, impedire che altri decidano per noi o che lascino senza risposta le nostre richieste. Come si è visto sulla questione dei profughi, di nuovo sollevata da Frattini a Londra.

È chiaro che il problema è duplice. Investe una questione di «leadership» e di credibilità. Sia a Lampedusa sia in Europa il primo passo è mostrare all'opinione pubblica e agli altri governi che a Roma c'è una guida politica salda e non distratta dalle infinite vicende giudiziarie che incalzano il presidente del Consiglio. Sull'immigrazione troppi hanno parlato in questi giorni senza che si sia capito quale fosse la linea. E come spesso capita, è stato poi il presidente della Repubblica a rappresentare una posizione di equilibrio, rispettosa delle regole europee e della tradizione italiana.
Ma il nodo è che la Lega esprime due indirizzi. Uno moderato, di governo, con Maroni che chiede aiuto alle regioni (senza gran successo); e un altro elettoralistico con Bossi che in dialetto milanese auspica una prova di forza contro i migranti. Sullo sfondo qualcuno minaccia ritorsioni contro la Tunisia, non si sa quanto verosimili.
A questo punto Berlusconi ha il dovere e la convenienza di recuperare una «leadership» convincente. Oggi a Lampedusa dovrà farsi capire e sanare varie contraddizioni. Perché le ondate migratorie riguardano, sì, l'intera Europa, ma non esimono i singoli paesi dalla responsabilità di affrontare l'emergenza restando con i piedi per terra.

Una volta riaffermata la «ledership», l'Italia potrà dedicarsi a ritrovare nelle prossime settimane un certo grado di credibilità in Europa. Anche in questo caso ha pesato, all'inizio della crisi libica, l'assenza del premier. E di qui occorrerà ripartire. Ricucendo il rapporto con le cancellerie europee, dopo le incomprensioni degli ultimi giorni. Una tensione permanente può solo danneggiare il nostro paese, oltre a inasprire il senso di solitudine. E riannodare i fili è una missione delicata che Berlusconi dovrà svolgere in prima persona.

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