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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 14:50.
L'ultima modifica è del 03 aprile 2011 alle ore 15:17.
C'è il problema dei soldi. E c'è il problema dell'anima della comunità. «Sa qual è il vero dolore, anche più forte dell'affanno dei conti? È che abbiamo capito che, nel centro storico, nessuno tornerà più. Le 19 piccole città edificate dalla Protezione civile intorno all'Aquila dovevano essere transitorie. Ma, ormai, è chiaro che sono definitive. E, quella, non è vita: senza amici, gli anziani lontano dagli ospedali, per gli altri viaggi su viaggi per andare a prendere e riportare i ragazzi a scuola».
Soprattutto per gli anziani non è facile. Annalisa Di Stefano, una commercialista che con altre nove professioniste aquilane sta anche organizzando uno sportello gratuito per aiutare le donne ad aprire nuove attività, sta preparando un servizio di trasporti per quelli che, "dispersi" nelle new town satelliti, vogliono fare ginnastica e stare insieme: «Mia mamma Maria, a 73 anni, resta sempre chiusa in casa. Così non va bene».
I giovani e i vecchi, con il caldo estivo e il freddo invernale, passano ore sulle macchine e sui pulmini. «Intanto - dice suor Daniela - nel centro storico la ricostruzione è ferma». Fra i cumuli delle macerie, alcune carcasse d'auto e le fasciature metalliche che impediscono agli edifici di crollare, il silenzio qui è da camposanto.
Al 54 di via Sallustio, uno stabile giallo ha il tetto ripiegato che sembra sul punto di cadere. Raffaele Colapietra, a 80 anni, ha la tristezza e l'intelligenza del professor Terremoto di Pirandello. È uno storico che ha insegnato all'Università di Salerno. Impermeabile grigio, prima di allontanarsi verso la casa danneggiata che non ha voluto abbandonare, esprime il suo scetticismo: «Ha sbagliato la comunità. Dovevamo partecipare di più alle scelte».
Questo senso di sradicamento dal proprio destino, all'Aquila, è assai diffuso. Il terremoto. Il Governo a prendere le decisioni. Silvio e Obama. La macchina della Protezione civile («È andata via il 31 gennaio del 2010, da allora non c'è stato che il vuoto», dice suor Daniela). La politica locale che litiga.
Quasi si autoincolpa Rita Innocenzi, a trent'anni capo degli edili della Cgil, un'altra donna lucida alle prese con l'enigma aquilano: «Avremmo dovuto avere più forza. Eravamo come annichiliti dal terremoto. Si è capito subito che le strutture provvisorie sarebbero diventate permanenti. Non abbiamo avuto, come sindacati e come persone comuni, l'energia per proporre qualcosa di alternativo. Ora che il grosso dei lavori intorno alla città è stato effettuato, dovrebbero iniziare a ricostruire il centro. Ma con che soldi? Ormai molte attività commerciali si sono trasferite fuori».
Rita la sindacalista non l'ammetterà mai. In fondo, però, il simbolo di tutto questo è la sede della Cgil, vicino al centro commerciale Gli Aquilotti. Un investimento da 1,2 milioni. Soldi veri, messi a disposizione anche dal sindacato nazionale. Difficile pensare che la Cgil tornerà nella vecchia sede del centro.
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