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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:13.

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La teledipendenza del palloneLa teledipendenza del pallone

Innovate, innovate, innovate
Il calcio è come il Paese in cui vive, senza giovani né futuro. Non sa creare un proprio modello di business, non sa costruire, mattone dopo mattone, con pazienza certosina. L'Europa di quest'anno ha invece trovato esempi fulgidi: il Porto di Villas Boas, il Borussia Dortmund di Kropp e il Napoli di Mazzarri insegnano. Ma i club italiani, i grandi in particolare, non sanno aspettare, non possono aspettare: i tifosi premono e lo shopping a volte diventa selvaggio fino a creare rose di prime donne strapagate, che non sempre trovano quel compagno fondamentale che il presidente Massimino chiamava "Lamalgama". Riprogrammare il calcio significa innovare a 360°, a partire dai vivai in cui crescere ragazzi italiani (il ct Prandelli ringrazierà) e stranieri; significa avere la pazienza di saper cambiare investimenti, senza farsi ubriacare dai festeggiamenti per successi nazionali, mentre, appena il naso finisce fuori dall'Italia, sono lacrime e sangue come hanno dimostrato il deserto del Sudafrica e la Champions di quest'anno, con il fiato della Germania sul collo: si è presa il quarto posto a caccia della coppa con le grandi orecchie. «Innovare, innovare, innovare»: il mantra di Hal Varian di Google News è l'unica tattica di sopravvivenza anche per il calcio italiano.

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