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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2011 alle ore 08:17.

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La domanda che ci si pone è: quanto durerà la coesione nazionale? Detto tutto il bene possibile di questo momento straordinario che si deve all'impegno del capo dello Stato, da un lato, e alla paura di naufragare nella tempesta finanziaria, dall'altro, cosa ci si deve attendere da lunedì?

Difficile credere che lo spirito del 12 luglio, giorno dell'accordo, possa protrarsi a lungo senza qualche novità. Anche perché le mura scricchiolano. Dalla richiesta di rinvio a giudizio per «concorso esterno in associazione mafiosa» a carico del ministro dell'Agricoltura Romano, leader dei Responsabili, alle carte sulle varie inchieste (Papa, Milanese). Non capita tutti i giorni che il presidente della Camera definisca «inopportuna» la permanenza in carica di un ministro, appunto Romano. E non sarebbe strano se Fini avesse interpretato in questo caso anche il pensiero del Quirinale.

Allo stato delle cose, il filo della coesione nazionale può reggere se è sostenuto da qualche ipotesi di rinnovamento. Cioè da fatti politici in grado di modificare in parte la scena. Del resto, come si domandava ieri il «Fatto Quotidiano», il senso di responsabilità dell'opposizione «serve a salvare il paese o solo a soccorrere Berlusconi?». Quesito brutale, che dà voce a quanti (e non sono pochi) vedono con sospetto o aperta ostilità le prospettive di governi «tecnici» o addirittura di unità nazionale. Ma è un quesito cruciale.

Le opposizioni non possono restare a lungo, come si dice, in mezzo al guado. Peraltro, quale sbocco a breve termine può avere il clima di coesione nazionale? Anche nel Pdl ormai c'è chi si pone la stessa domanda, in termini che sarebbero stati impensabili fino a qualche mese fa. E questa, sì, è una novità. Perché al fondo di certe riflessioni, che coinvolgono personaggi di primo piano della maggioranza, c'è lo scenario di un nuovo governo non più guidato da Silvio Berlusconi. Magari non subito, ma entro poche settimane o un paio di mesi: e comunque ben prima della scadenza naturale della legislatura, in modo da creare spazio per un governo di transizione che prepari le elezioni.

Ciò non significa che le opposizioni, da un lato, e questi ambienti del Pdl, dall'altro, stiano dicendo le stesse cose. Vuol dire però che la crisi finanziaria ha mosso il quadro politico, offrendo solidi argomenti a chi ritiene che l'Italia abbia un problema di credibilità sulla scena internazionale. (Sull'altro piatto della bilancia bisogna considerare che due esponenti un tempo legati a Fini, come Urso e Ronchi, hanno scelto proprio questo momento per avvicinarsi al Pdl).

In un certo senso, Berlusconi ha autorizzato questi giudizi con la sua prolungata assenza dal palcoscenico della crisi. Per cui è vero che mai come stavolta la stagione berlusconiana sembra vicina alla fine. E tuttavia... Nessuno sa come fare per voltare pagina. Tutti, in un modo o nell'altro, guardano al Quirinale. Sperano che Napolitano, sull'onda del successo di questi giorni, trovi il modo per chiudere il lungo regno di Arcore senza scossoni traumatici. Più facile a dirsi che a farsi. Napolitano può affidarsi alla sua capacità persuasiva, può tentare di convincere chi di dovere. Può rivolgersi al paese o mandare un messaggio alle Camere sulle difficoltà che stiamo vivendo. Ma, è ovvio, non può certo cambiare un premier in carica se la sua maggioranza continua a sostenerlo.
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