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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2011 alle ore 12:27.

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La fuga dai depositi del 2008 non c'è e non è nemmeno all'orizzonte, per fortuna. L'interbancario mondiale vive una fase complicata, stare in campana è obbligatorio. La spia della delicatezza della crisi del debito americano, che purtroppo riguarda tutti, si chiama "Money Market Fund" ed è misurata dalla velocità con cui questi fondi monetari disinvestono dai titoli sovrani che hanno in pancia.

Sono l'anello debole della catena del mercato finanziario mondiale e vivono l'incubo che milioni di investitori, soprattutto in assenza di un accordo bipartisan negli Stati Uniti, si presentino mercoledì tre agosto e chiedano indietro i loro soldi per trasferirli sui conti correnti bancari. Questi soldi i "Fund" oggi non li hanno, o non li hanno tutti, e fanno raccolta liberandosi dei titoli pubblici sovrani dei Paesi che ovviamente ritengono più fragili.

In questo contesto, facciamo i conti con uno spread tra i BTp e i Bund che resta elevatissimo e misura in modo inequivocabile l'allargamento del differenziale tra i tassi italiani e quelli tedeschi, e siamo consapevoli che il nostro Tesoro dovrà effettuare una raccolta imponente nella seconda parte dell'anno. A questo punto,la priorità assoluta è una sola: evitare che lo "Stato da vendere" sia l'Italia. Bisogna evitare che le sue banche solide e liquide siano considerate una "propaggine" del debito pubblico italiano. Bisogna evitare che il nostro Paese conquisti sui mercati, agli occhi degli investitori e delle forti mani della speculazione, la palma della fragilità a causa di un quadro politico logorato, del suo maxidebito pubblico e di una malattia ormai strutturale qual è quella della debole crescita.

Questo giornale ha lanciato, il giorno dopo il varo della manovra-lampo da 48 miliardi, un manifesto in nove punti per la crescita. Qualche giorno fa le forze produttive, bancarie e sociali del Paese hanno chiesto all'unisono un segnale di discontinuità nella politica economica che ponga ad horas la crescita – fatti, atti, decisioni – al centro della politica economica del governo.

Il Paese esige che queste risposte vengano date ora, le pretende da chi governa, e ha come suo primo interlocutore, Giulio Tremonti, l'uomo che ha garantito a lungo la tenuta dei conti pubblici italiani, ha fatto da argine ai mille partiti della spesa facile, ed appare oggi indebolito dall'ultimo scandalo nostrano. Tremonti ha commesso una leggerezza (grave) nel chiedere ospitalità, nella casa di via di Campo Marzio a Roma, al suo consigliere politico, Marco Milanese, al centro di una serie di indagini giudiziarie e per il quale pende alla Camera una richiesta di arresto della Procura di Napoli, e si è rivelato in seguito ancora meno avveduto per almeno tre ragioni.

La prima: rimanere in quella casa anche dopo avere appreso dai magistrati la situazione giudiziaria di Milanese. La seconda: procedere al pagamento di questa specie di subaffitto in contanti(lui la chiama ospitalità alberghiera) non appare la più naturale delle pratiche per chi ha anche la responsabilità delle finanze di un Paese. La terza: accreditare l'ipotesi di avere accettato questa sistemazione perché si sentiva spiato (da chi? e perché non lo ha denunciato?).

Ieri mattina gli italiani, dagli schermi di Rai 1, hanno ascoltato il loro ministro dell'Economia parlare della casa di via di Campo Marzio e lo hanno sentito scandire «non ho bisogno di rubare soldi agli italiani». La moralità personale di Tremonti, le sue competenze e capacità intuitive, oltre a un carattere quanto meno spigoloso, appaiono un patrimonio condiviso ed è giusto sottolinearlo, anche in questa circostanza. Gli interrogativi di oggi, però, sono altri, e sono almeno due. Ha la serenità, la determinazione e la volontà per fare, ad esempio, quella riforma delle pensioni che lui voleva inserire nella manovra (e ha dovuto attenuarla) rendendola anzi ancora più strutturale? Si è fatto un esame di coscienza e si è chiesto se si sente nelle condizioni di credibilità per prendere ancora in mano l'iniziativa e cominciare a dare (da subito) quelle risposte sulla crescita che, peraltro, da tempo non ha voluto (o potuto) dare?

P.S. Voto di fiducia sul processo lungo al Senato e ministeri fantasma a Monza appartengono a metodi e bizzarie che non ci piacciono per nulla. Non sono, di certo, la medicina migliore per placare l'ansia dei mercati e ridare speranza al Paese.

roberto.napoletano@ilsole24ore.com

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