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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2011 alle ore 10:08.

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Illustrazione di Manuele FiorIllustrazione di Manuele Fior

Vi era anche una contessa russa tra gli scampati dalla rivoluzione sovietica presi a bordo della nave da guerra mandata dall'Italia ad Odessa. Di rapinosa bellezza lei, di virile fascino il brillante ufficiale che vi prestava servizio: complici l'emozione per lo scampato pericolo, la riconoscenza del salvato e il trasporto del salvatore, tra i due scoppia un amore folle. Tanto folle che, per sposarla, il brillante ufficiale non esita a dimettersi. La contessa infatti era divorziata, unirsi a lei era interdetto a un ufficiale della Regia Marina. Poi l'amore finisce, e alcuni anni dopo troviamo la contessa a Berlino: partecipa a un ricevimento in cui si parla male di Mussolini, ritorna nella sua stanza e si spara.

Dovevamo essere rifugiati in Svizzera, verso la fine del '43, quando mia madre mi raccontò questo pezzo di storia di famiglia - lo sfortunato ufficiale era suo cugino primo. Una storia in cui chi salva la propria vita fuggendo da una dittatura nella sua patria di origine, volontariamente la perde difendendo una dittatura nella sua patria di acquisto, raccontata a un ragazzino che a causa di quella dittatura dalla sua patria ha dovuto fuggire: mi piace pensare che proprio quel tragico aggrovigliarsi sia stato il primo seme della mia diffidenza per un concetto così evidentemente mutevole come la patria, e per un sentimento così evidentemente ingannevole come l'orgoglio.

Certo, nel prosieguo della mia vita, anch'io trovandomi all'estero ho provato insofferenza per giudizi approssimativi e consumati luoghi comuni espressi sul mio Paese: ma orgoglio di essere italiano non credo di averlo mai provato e sono certo di non averlo mai assaporato.

Contento, non orgoglioso: sono contento di essere italiano. Ho desiderato molte volte di vivere altrove, anche per lunghi pezzi della mia vita, lo penso anche adesso che i pezzi di necessità posso solo pensarli corti, ma non ho mai desiderato di essere nato altrove. E poi, altrove da dove? Perché l'Italia in cui sono contento di essere nato non è "Il Bel Paese ch'Appennin parte, il mar circonda e l'Alpe", ma è uno degli Stati che in Europa hanno dato vita alla civiltà occidentale. Sono "contento" di essere nato e cresciuto nella civiltà occidentale europea.

In che cosa consiste questa "contentezza"? Provo a spiegarlo con un esempio: nel 1788 a Napoli, al teatro dei Fiorentini va in scena la prima di La Bella Molinara di Paisiello. Rappresentata a Vienna al Burgtheater nel 1795, l'opera ha grande successo: sull'aria «Nel cor più non mi sento» scrivono variazioni Beethoven, Paganini, Giuliani. La Bella Molinara diventa Die schöne Müllerin e Schubert nel 1822 ne trae il famosissimo ciclo di Lieder. Uno di questi, Des Baches Wiegenlied viene trascritto di Franz Listz. Nel 1837 viene in Italia con Marie d'Agoult, qui nascono Cosima e Daniel: l'Italia è meta di "Pélérinages", fonte di "Consolations"; San Francesco, Dante, Petrarca, Tasso ispirano oratori, sinfonie, lieder, sonate. Ecco, è questa contiguità che collega la cultura del Paese in cui sono nato alle altre europee, di tutte preservando l'identità, che mi fa sentire "contento" di essere occidentale.

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