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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2011 alle ore 10:29.
L'ultima modifica è del 20 agosto 2011 alle ore 10:30.

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L'orgoglio di essere italiano - Vincenzo CeramiL'orgoglio di essere italiano - Vincenzo Cerami

Anche a me è successo, come credo a molti di noi, di sentirmi per un momento orgoglioso di essere italiano. È accaduto un po' di tempo fa, dopo una giornata difficile. Già il risveglio mattutino mi aveva regalato un crampo al polpaccio destro di inenarrabile dolore. Urlavo pensando al potassio che mi mancava. Da parecchio tempo non mangiavo banane, carote, albicocche e pomodori: tesori impareggiabili per la nostra salute. Un caffè, e basta.
Chiamo un taxi, niente. Allora scendo in strada, compro il giornale e mi sbraccio oltre il marciapiede. Sono fortunato, becco una vettura al volo. Solo che mi porta da un'altra parte. Non me ne accorgo perché sono completamente preso dalla lettura: quattro intere pagine sulla crisi di Governo e su alcuni politici sorpresi dalla Finanza con i contanti nelle mutande e nei calzini. L'uomo al volante, di origine straniera, mi mostra il tassametro: roba da accendere un mutuo. Colpa della politica italiana, che mi ha ottenebrato il cervello. Guardo fuori dal finestrino, mi ritrovo in uno sconosciuto quartiere della periferia. «Ma qui siamo nel Bronx», mi dico. Chiedo spiegazioni all'autista. Quello giura di avermi portato all'indirizzo che gli ho dato. «Forse non ci siamo capiti!». Insomma, dopo una lunga e sterile discussione fa dietrofront dopo aver di nuovo azionato il tassametro. Questa volta il giornale lo infilo nella borsa, gli occhi attenti al percorso. Ovviamente mi saltano l'appuntamento con il direttore della banca e il lavoro collegato. In realtà non mi dispiace molto perché di questi tempi affari certi non esistono. Mi dico: «Forse il destino ha deciso per me, mi ha salvato!».

Riconquistato il centro, il taxi passa davanti all'agenzia dell'Alitalia. Chiedo all'autista di fermarsi e scendo. Devo ritirare il biglietto aereo per Milano. Ma la notizia che immediatamente mi danno scombina i programmi: «Non è sicuro che gli aerei partano, è in corso una vertenza sindacale in coincidenza dello scombussolamento governativo. Lei provi ad andare in aeroporto, magari ci saranno solo dei ritardi!». Decido di fare come mi è stato consigliato: acquisto il biglietto e all'improvviso mi trovo padrone del mio tempo; è una piacevole sensazione che non provo da chissà quanto. Potrei camminare un po' senza meta, guardare le vetrine, fare shopping, visitare un museo. O semplicemente sedermi da qualche parte, in un bel bar elegante, finire di leggere il giornale, sorseggiare il mio Bacardi cocktail in bicchiere ghiacciato, e aspettare il momento del pranzo. E così faccio. Forse in virtù di queste ore inaspettatamente guadagnate, rubate al lavoro, tutte per me, e anche perché sento già un certo languorino allo stomaco, ho voglia di togliermi qualche sfizio infantile.

Non mangio i cannelloni con la besciamella e le polpettine dall'epoca di mia madre, che li faceva divinamente. Ammetto, con il disagio di chi commette peccato, una meravigliosa verità italiana: che la mamma è la migliore cuoca del mondo. Insomma, dopo l'aperitivo mi metto a caccia di un ristorante che nei piatti del giorno proponga lasagne al forno.
Intingendo di tanto in tanto le labbra nel cocktail riprendo il giornale in mano. Una pagina riporta l'inchiesta, guarda caso, sul falso mito della bonarietà e della dolce umanità degli italiani. Il luogo comune ci vuole mammoni, amanti dei bambini, stracolmi di buoni sentimenti. Ma secondo il giornalista in questione sono tutte menzogne. Si slancia in una lunga serie di esempi allucinanti sulla nostra violenza. Dal vaso di Pandora tira fuori di tutto: dalla 'ndragheta alla corona unita, alla camorra; dagli atroci delitti di mafia dove i bambini vengono sciolti nell'acido ai dettagli raccapriccianti del detenuto che apre la pancia del suo nemico di prigione con il coperchio di un barattolo di conserva per mangiargli il fegato caldo e ancora sanguinolento.

Riporta la cronaca di neonati trovati nei cassonetti, di stragi all'interno delle famiglie, dove, per avere prima il patrimonio, un ragazzo uccide genitori e fratelli, possibili eredi. Per non parlare dei numerosi delitti e episodi di stupro, bullismo e teppismo che avvengono nelle nostre città ogni giorno e ogni notte. Con dovizia di dati, l'iracondo e sadico estensore dell'inchiesta racconta i nostri record non proprio edificanti. Sviscera l'enorme numero di gente che ogni anno scompare dalla circolazione; ammonisce sulla nostra natalità zero; ricorda al lettore che gli italiani sono ai primissimi posti della classifica mondiale per consumo di prostituzione e turismo sessuale e agli ultimi come lettori di libri e di giornali, e come qualità della scuola e delle università.
Già mi sta passando la voglia di cannelloni. Ma reagisco. Se si mettono assieme nella stessa pagina tutti i nostri difetti, sembra che esistano solo quelli. Io avrei potuto scriverne almeno altre due elencando i nostri pregi, dall'operosità alla fantasia creativa, dalla buona cucina alla moda e al design. E avrei messo bene in vista i blasoni delle bellezze e del passato più illustri del pianeta. Non so se ho fatto dentro di me questo ragionamento per non rinunciare alla meraviglia dei cannelloni con le polpettine "opus magnum" della mia mamma.

Di lì a poco lascio il bar, ho gettato il giornale nel cestino e vado dritto alla ricerca del più italiano dei ristoranti. Ne trovo uno quasi subito, più una trattoria in verità. Dai due ingressi vengono fuori profumi di origano e cipolla. Entro e chiedo subito al padrone se i cannelloni scritti sul menù contengono polpettine. «Niente polpettine!». Pazienza. Mi seggo e inizio con le crudité: carote, sedano, ravanelli, cetrioli, tutto potassio. Il cameriere mi mette davanti i cannelloni e io stento a riconoscerli. Sono stanchi di vivere, il parmigiano è inchiodato alla salsa da quel dì.

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