Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 08:14.

My24


Èdalla fine della Seconda Guerra Mondiale che sul territorio italiano stazionano forze armate americane. Dalle guerre in Iraq alle più recenti operazioni militari in Libia, in oltre mezzo secolo la loro importanza strategica è solo cresciuta. Un messaggio segreto inviato tre anni fa a Washington dall'ambasciata di Roma e trovato da Il Sole 24 Ore tra le migliaia messe in rete da Wikileaks dice: «In Europa l'Italia è l'alleato più importante in termini di proiezione della nostra forza militare nel Mediterraneo, Nord-Africa e Medio Oriente».
Più esplicito un cable inviato dall'ambasciatore Melvin Sembler all'indomani dell'invasione dell'Iraq: «Pur riconoscendo che l'Italia può sembrare frustrante e bizantina... è un posto eccellente per condurre i nostri affari politico-militari». A renderlo così… eccellente per gli americani, è un trattato bilaterale che da sei decenni permette al Pentagono di usare le basi italiane. Da sempre rimasto segreto. Almeno fino a ora.
Tra i 13 e i 20mila militari Usa operano da decenni su sei basi in Italia: Vicenza, Aviano, Sigonella, Napoli, Gaeta e Camp Darby, nei pressi di Livorno. A permettere e regolare la loro presenza è un trattato bilaterale, il cosiddetto Bia, o Bilateral Infrastructure Agreement, stipulato dal Governo di Mario Scelba il 20 ottobre 1954 e firmato dalll'allora ministro Giuseppe Pella e dall'ambasciatore Usa Clare Booth Luce. Noto negli ambienti militari italiani come "accordo ombrello", il Bia stabilisce le condizioni di utilizzo delle basi. Ma il suo testo è sempre stato mantenuto segreto.
«La questione delle basi americane in Italia non è argomento nuovo», ha commentato qualche mese fa l'ex capo di Stato maggiore generale Mario Arpino. «Eppure ogni volta che se ne è discusso – ed è accaduto puntualmente una o più volte nell'arco di ciascuna legislatura – l'approccio è stato non pragmatico, come molti aspetti tecnici avrebbero richiesto, ma ideologico». Uno dei motivi principali è che fino a oggi il testo del Bia non è stato reso noto né all'opinione pubblica né agli stessi legislatori.
Un tentativo di "declassificare" il Bia lo ha fatto tre anni fa il Governo Berlusconi. Ma è stato respinto dall'amministrazione Obama. Con questa motivazione formulata dall'ambasciata a Roma in un cable segreto del 31 ottobre 2008: «Per noi sarebbe controproducente e… potrebbe ridurre la libertà di azione delle forze basate in Italia». A giustificare la segretezza del trattato, spiega l'ambasciata, è il suo secondo articolo, quello che governa l'uso delle basi da parte delle forze Usa. E che viene riportato verbatim nel messaggio, permettendoci adesso di renderlo pubblico. Ecco cosa dice: «Il Governo degli Stati Uniti si impegna a usare le strutture previste dall'accordo nello spirito e nel quadro della collaborazione Nato. Il Governo degli Stati Uniti si impegna a utilizzare le istallazioni solo a seguito di disposizioni Nato o con il beneplacito del Governo italiano».
Come spiega l'ambasciata, «gli Usa hanno tradizionalmente dato una lettura ampia a questo testo, e ritenuto che le sue forze possono essere usate in operazioni non-Nato (come l'Iraq o le missioni umanitarie in Africa) fin tanto che il Governo italiano dà il proprio assenso. Le autorità politiche e militari italiane hanno generalmente dato quell'assenso in modo informale. Ma se il testo venisse reso pubblico è probabile che i partiti politici che si oppongono alla presenza militare negli Usa o a nostri interventi militari all'estero farebbero pressioni sul Governo perché accettasse una lettura più restrittiva del linguaggio dell'accordo e nel caso di interventi non-Nato chiedesse negoziati formali e più estesi». L'altra preoccupazione di via Veneto è che «se fosse reso pubblico, il testo potrebbe … complicare i nostri sforzi di ottenere il massimo possibile di libertà d'azione per le componenti del comando AfriCom e potrebbe limitare la libertà d'azione delle altre nostre forze attualmente di base in Italia. Come, per esempio, il recente impiego in operazioni nel Mar Nero dell'ammiraglia della Sesta Flotta, la Uss Mount Whitney, di base a Gaeta».
A spiegare quanto più arduo sarebbe per gli Stati Uniti se Parlamento e opinione pubblica italiana venissero a conoscenza del testo segreto, sono altri cable trovati da Il Sole 24 Ore nella grande mole resa accessibile da Wikileaks. Un paio di questi dimostrano addirittura che in occasione dell'invasione dell'Iraq l'allora presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi pose il problema della costituzionalità dell'utilizzo di Aviano.
Quei documenti, finora mai resi pubblici, illustrano il ruolo giocato dal Governo e dagli apparati militari italiani nei preparativi dell'invasione. Si viene così a sapere che il Pentagono ha usato nostri aereoporti civili e basi militari per trasportare soldati sul teatro di guerra. Senza che il Parlamento ne fosse informato.
Ecco il testo di un messaggio del 24 gennaio 2003: «Il direttore degli affari politici del ministero degli Esteri Giancarlo Aragona ha sottolineato che c'è considerevole pressione da parte di alcuni membri dell'Unione europea a che l'Italia concordi con loro la propria risposta a un possibile intervento militare Usa… Comunque il 24 gennaio il Goi ha deciso di dirottare dall'aeroporto di Fiumicino a una base aerea militare i voli della linea aerea Delta che trasportano personale militare, con armi e munizioni … offrendo agli Usa l'uso di basi quali Sigonella, Aviano o anche Pratica di Mare… Ci hanno avvertiti che potrebbe essere necessario informare il Parlamento almeno 24 ore prima dell'inizio dei voli di transito per l'Italia». Ma nello stesso messaggio si ammette che quei voli «a quanto viene riferito, sono in corso dal 21 gennaio».

Shopping24

Dai nostri archivi