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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2011 alle ore 08:49.

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Si è chiuso un capitolo della storia d'Italia durato quasi diciotto anni. L'uomo che ne è stato protagonista assoluto, che ha plasmato questa lunga stagione con personalità dirompente e insieme distruttiva, alla fine soprattutto auto-distruttiva, è uscito di scena in una cornice carica di toni drammatici. Una brutta atmosfera, evocatrice di antichi traumi.

Feste nelle strade, sì, ma anche cori eccitati, fischi, urla di ogni genere che hanno scandito gli ultimi minuti di Silvio Berlusconi prima delle dimissioni, fin sotto il palazzo del Quirinale. Ma in piazza, qui è là, c'erano anche i suoi ultimi appassionati sostenitori, estremi testimoni di quel grande moto d'opinione pubblica che è stato il «berlusconismo»: un fenomeno che in futuro meriterà l'attenzione degli storici e non solo dei cronisti.

Senza dubbio era ingenuo immaginare che l'addio avvenisse in forme serene o meno cupe. Non se ne va solo un premier o un capo politico, bensì quel personaggio unico che Berlusconi è stato. Nel dopoguerra nessuno come lui ha diviso gli italiani, nessuno come lui è stato amato e odiato, a seconda dei casi. Il suo periodo non può essere definito un regime, eppure finisce come talvolta finiscono i regimi.

Da oggi comincia un'altra storia. Il passaggio non potrebbe essere più sostanziale, persino clamoroso. Entro stasera il senatore a vita Mario Monti avrà l'incarico dal capo dello Stato; entro domani sera egli e i suoi ministri potrebbero insediarsi nei nuovi uffici. Berlusconi lascerà Palazzo Chigi e si presume che non ci rimetterà piede mai più. Il Parlamento sarà chiamato a stretto giro a esprimere la fiducia. Si compie quello che il francese «Nouvel Observateur» ha definito «il capolavoro di Napolitano». E capolavoro politico certo lo è, basta vedere il sollievo dei mercati e i tassi d'interesse sui Btp che scivolano all'ingiù.

Cosa c'è, allora, che lascia lievemente inquieti? Cosa produce quel vago senso di disagio che impedisce di essere ottimisti fino in fondo? Il dato positivo è l'avvento di Mario Monti, con il suo volto di persona seria e competente che di per sé significa credibilità ritrovata. L'altro fattore positivo è la presenza di Giorgio Napolitano al Quirinale, come garante e «lord protettore» del nuovo esecutivo. In pochi giorni il capo dello Stato ha spezzato il cordone sanitario dell'isolamento. Gli elogi di Obama, Angela Merkel e Sarkozy segnalano che l'Italia è stata riammessa nel concerto delle nazioni, dopo il lungo isolamento (a parte la Russia di Putin).

Ma ci sono anche gli aspetti meno positivi o francamente preoccupanti. Il "via libera" di Berlusconi tende a limitare l'orizzonte temporale di Monti alla sola emergenza economica fissata nella lettera all'Unione (a sua volta specchio della missiva ricevuta in agosto dalla Banca centrale). Non esistono, certo, governi a tempo; ma esistono governi che ricevono un freddo e ambiguo sostegno parlamentare. Secondo punto, cruciale. L'esecutivo aveva tutto da guadagnare da un profilo tecnico incardinato però su un impianto politico. Su un filo capace di legare il presidente del Consiglio ai partiti che dovranno sostenerlo in Parlamento.

Bastava poco, ma non è stato possibile. E ieri sera Gianni Letta ha fatto con dignità un atto di rinuncia. Prevale la «discontinuità» chiesta dal Pd rispetto alla linea «continuista» prediletta dal Pdl. Salvo accordi delle prossime ore, avremo un governo super-tecnico senza radici politiche. Sarebbe preferibile maggiore saggezza dai partiti, che ora invece si sentiranno liberi di prendere le distanze dall'esecutivo quando lo riterranno opportuno (ad esempio, quando sarà superata la prima fase dell'emergenza).

Lo farà il Pdl per non frantumarsi, e magari per tenere un contatto con la Lega all'opposizione. Di conseguenza si regolerà allo stesso modo il Pd di Bersani, peraltro più che leale a Napolitano in questa fase. Ma trascorse le prime settimane di luna di miele, le asperità politiche per Monti non saranno insignificanti. In ogni caso, al nuovo premier va oggi il sostegno di tutti gli italiani di buona volontà.

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