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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2012 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 13 aprile 2012 alle ore 08:27.

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Una questione di metodo e una di merito. Il metodo: un tavolo tecnico doveva fare luce sulla vicenda degli esodati, o meglio, dei salvaguardati, come il comunicato diramato ieri dal ministro del Lavoro definisce i soggetti che, in prossimità del pensionamento, rischiano di restare senza stipendio e senza assegno previdenziale. Bene: da un tavolo tecnico (voluto, peraltro, da un ministro tecnico) ci saremmo aspettati una risposta "tecnica". Una quantificazione precisa dei lavoratori potenzialmente interessati.

Una quantificazione che ricalcasse l'elenco indicato dalla riforma (il decreto salva Italia, con le modifiche del decreto Milleproroghe): quanti i lavoratori in mobilità lunga e breve? Quanti a carico dei fondi di solidarietà? Quanti in prosecuzione volontaria? Quanti "esodati" veri e propri, cioè lavoratori incentivati a lasciare il lavoro in vista di una pensione che ora si allontana? E via via le altre situazioni per le quali continueranno ad applicarsi le "vecchie" regole di pensionamento.

Nulla di tutto ciò è arrivato (o, almeno, nulla di tutto ciò è stato comunicato). Il che, per restare al metodo, non è proprio un bell'esempio di trasparenza. A ben vedere, poi, sarebbe stato lecito attendersi che il tavolo tecnico fosse così lungimirante da quantificare anche le situazioni - e sono moltissime - borderline, fatte di lavoratori che attualmente non hanno salvaguardia ma che si trovano nella medesima condizione degli altri: rischiano di restare senza stipendio e senza pensione. Anche qui, nebbia fitta.

Quanto al merito, più che di soluzione, quella arrivata ieri sembra essere una "toppa". Il ministero ci dice che i salvaguardati, per i prossimi due anni, sono circa 65mila. Guarda caso si tratta del numero per i quali la riforma già stanzia le risorse a copertura dei costi (oltre 5 miliardi fino al 2019). L'Inps, solo il giorno prima, aveva parlato di numeri ben diversi, 130mila unità interessate in quattro anni, oltre a 1,4 milioni di soggetti in "prosecuzione volontaria". Non serve un contabile per capire che qualcosa non torna, come in effetti sembra lasciar intendere anche il comunicato del ministero quando, in coda, afferma che si stanno cercando soluzioni adeguate per situazioni non coperte dalle norme attuali. Ma, allora, a che è servita la ricognizione?

È un peccato che si sia persa l'occasione per fare chiarezza. I numeri non sono tutto, ma in questo caso dietro ai numeri ci sono persone reali, ci sono storie, ci sono drammi: un po' più di attenzione sarebbe almeno stato un segno di rispetto.

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