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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 07:28.

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Si consideri per esempio la riluttanza della Finlandia a fare un gesto di solidarietà senza contropartita nei confronti della Grecia. Ma anche in altri paesi possiamo constatare riserve della medesima natura. Si tratta quindi di un problema più generale, in quanto assistiamo a un ritorno al nazionalismo rampante, che fa comodo alle leadership che così riescono ad abbindolare le opinioni pubbliche e al contempo sottovalutano i vantaggi dell'Unione.
Lo ripeto spesso: l'Europa ormai può scegliere soltanto tra due opzioni, la sopravvivenza o il declino. I problemi dell'euro hanno tenuto in secondo piano tutti gli altri problemi europei, per esempio le prospettive di bilancio, l'ambiente, i problemi delle politiche di vicinato, i nuovi possibili allargamenti. Si impone dunque un riequilibrio di ogni cosa, a prescindere da quanto sia grave la crisi dell'euro.

La via della cooperazione rafforzata
Ma va affrontato anche un altro ambito della governance: la differenziazione. Integrazione differenziata non è sinonimo di Europa a più velocità. È soltanto la constatazione che in un dato momento alcuni Paesi andranno più avanti nella sovranità condivisa, in modo tale da trascinare tutta la compagine europea, sempre nel rispetto delle regole dell'Unione a Ventisette. In questo non c'è nulla di nuovo: gli accordi di Schengen e l'euro sono esempi di integrazione differenziata.
Ora vi è inoltre una base istituzionale: ovvero la cooperazione rafforzata che era già prevista nel trattato di Amsterdam. La cooperazione rafforzata permette a un gruppo di Paesi di infondere dinamismo nella costruzione europea. Il primo atto di coraggio dell'Uem, pertanto, sarebbe quello di farne veramente una cooperazione rafforzata, nel senso istituzionale del termine.
Questa visione e questo metodo non sono ancora accettati da tutti i paesi membri, tra i quali in qualche caso anche i più importanti. Si tratta di un problema grave per l'Europa.

Secondo me, e per semplificare, nei dieci anni a venire si prospettano come possibili due strade, strettamente interconnesse tra loro: la "grande Europa" - in quanto nuovi allargamenti sono pur sempre auspicabili e possibili - e la collaborazione rafforzata dell'Uem. Questa visione è a uno stesso tempo ambiziosa e modesta. È ambiziosa perché aspirerebbe a fare dell'Europa allargata una sorta di punto di riferimento per qualsiasi tentativo di organizzazione nel mondo o su scala mondiale. Ci fu infatti un momento in cui l'Associazione delle nazioni dell'Asia sud-orientale (Asean) ci chiese di spiegare quello che voleva dire «collaborazione» in Europa. E così l'Unione del Maghreb arabo, e l'esperienza di Mercosur. Mi pare quindi che la "grande Europa" sia anche un modo per testimoniare - nel momento stesso in cui tutti parlano di regolamentazione mondiale - la necessità di tali regole mondiali e di dire: «Eccoci qui, noi siamo riusciti con gli Stati sovrani a dar vita a un'unione che consente di vivere meglio, di essere più efficaci e di capirci tra noi, rispettando il primato della legalità».

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