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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 07:28.

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Altro elemento essenziale per il progresso è chiarire le competenze. Il grande rimprovero che ho mosso al Trattato di Lisbona è quello di non aver distinto in modo chiaro tra le competenze europee e le competenze nazionali. Anche se cercano di convincermi dell'utilità delle competenze condivise, resto persuaso che occorra limitarne l'ambito, se non altro perché i cittadini capiscano chi fa cosa.
Infine, io accordo una notevole importanza al "voler vivere insieme", con le indispensabili politiche di accompagnamento del mercato comune, pietra angolare dell'edificio europeo. Non si deve considerare tale volontà semplicemente in termini economici, o in termini di scambio o ancora in termini commerciali. Accettare l'interdipendenza significa costruire uno dei pilasti del nostro "voler agire insieme", premessa indispensabile del nostro "voler vivere insieme".
Per ritornare dunque a quella che io chiamo la "grande Europa", che aspira ad altri allargamenti, ne ho una visione anche modesta perché non si tratta di passare a un federalismo classico, che del resto non sarebbe neppure accettato. D'altronde, questa grande Europa non pretende di governare il mondo, anche se abbiamo un passato glorioso. Mi riferisco a Vaclav Havel, che ha tradotto meglio di chiunque altro questa visione di un'Europa forte e influente. Egli spiega che l'Europa non deve più avere l'idea o la nostalgia di dominare il mondo, bensì l'ambizione di essere d'esempio e di mostrare la strada verso la pace e una maggiore comprensione tra i popoli. Che bello un ideale di questo tipo per la grande Europa.

La leva degli eurobond
Per l'Uem occorre un'integrazione rafforzata sul piano fiscale e in certi ambiti sociali, ma con le riserve da me già espresse in relazione al rispetto di talune diversità. Noi dobbiamo creare gli strumenti ad hoc che ci consentano di conseguire una maggiore cooperazione e una maggiore solidarietà: un fondo di regolamentazione congiunturale, un programma di aiuti all'innovazione e allo sviluppo sostenibile, strumenti finanziari come gli eurobond. Un sapiente e ragionevole uso degli eurobond consentirebbe di contribuire al finanziamento di progetti comuni e darebbe vita a un mercato delle assunzioni ed erogazioni dei prestiti che rafforzi il ruolo internazionale dell'euro.
Per quanto riguarda l'efficacia, però, mi vedo costretto a ribadire una volta di più l'importanza del voto a maggioranza qualificata. A questo proposito vorrei citare Tommaso Padoa Schioppa - uno dei miei maestri, purtroppo scomparso -, che diceva che «la paralisi provocata dal diritto di veto non è un'imperfezione dell'Unione, ma semplicemente una mancanza di unione. La capacità di prendere una decisione - e questo è il paradosso di qualsiasi unione - esiste soltanto quando si è capaci di decidere anche se si è in disaccordo».

Queste parole sono fondamentali per riflettere sul nuovo contesto istituzionale dell'Uem, lasciando alla Commissione il diritto di iniziativa.
Nelle due ipotesi prospettate, io sono favorevole a un maggiore federalismo. Per la grande Europa, una Federazione di Stati-nazione, e per chi appartiene all'Uem, un'integrazione più avanzata, che comprenda a uno stesso tempo quella economica, quella monetaria e una parte di quella sociale.
Come realizzare questo equilibrio tra regole e politica? Anche l'Uem, infatti, ha bisogno di regole. Senza maggiore federalismo, però, come riuscire a dar vita a una maggiore cooperazione, una maggiore solidarietà, una maggiore coerenza, una maggiore semplicità, una maggiore trasparenza?
In conclusione, per garantire il futuro dell'Uem è indispensabile un po' di coraggio istituzionale, economico e politico. Il cambiamento monetario è più radicale di qualsiasi altro. I nostri dirigenti ne sono consapevoli. Ma avranno la forza politica di farlo?

(Traduzione di Anna Bissanti)

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