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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2012 alle ore 07:48.

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Osteggiare tale processo vuol dire non aver capito che un singolo Stato nazionale, da solo, non è più in grado di dare sicurezza ai propri cittadini e di certo non ha alcun peso nei club dei grandi a livello mondiale. Osteggiare tale processo vuol dire anche commettere un errore strategico irreversibile.

Non bisogna dimenticare, infatti, che fu proprio l'Europa la pioniera delle prime grandi collaborazioni tra governi che hanno ispirato stati e potenze estere a sviluppare a loro volta progetti comuni. Se continuiamo su questo sentiero, porteremo l'Europa alla disintegrazione, aiutati anche dalle spinte esterne all'Unione. Dall'altro lato invece si presenta a noi l'unico e costruttivo sentiero che si possa imboccare, quello del tanto desiderato e necessario federalismo europeo. Quell'ulteriore processo di integrazione che oggi richiede di essere accompagnato da misure ancora più audaci, per compensare l'aggravarsi della crisi causata della velocità da bradipo che hanno mantenuto negli ultimi anni i leader europei.
In concreto, serve portare avanti politiche volte alla stabilità e alla crescita nel breve-medio termine, mentre si gettano le fondamenta dei pilastri mancanti dell'architettura dell'Unione europea per garantire una piena sostenibilità del nostro sistema nel lungo periodo. Senza un tale approccio olistico ci aspetta un decennio di desolazione.

Innanzitutto, gli Stati membri devono persistere con gli sforzi mirati a ridurre i disavanzi affinché le generazioni future non siano costrette a pagare il prezzo per la dissipatezza dei loro predecessori. L'osservanza del già rafforzato Patto di stabilità e crescita non può più ammettere eccezioni, come fu per Germania e Francia nel 2005. Le regole valgono per tutti e non possono essere infrante. Inoltre dobbiamo puntare a un sempre maggiore coordinamento delle politiche di bilancio ed economiche fino a materializzare una reale Unione economica e fiscale.
Senza indugiare, occorre inoltre ricapitalizzare le banche e garantire i depositi per spezzare l'esistente circolo vizioso tra le banche fragili e i debiti sovrani deboli che si ripercuote sull'economia reale. Il fondo salva-Stati (Efsf e Esm), l'inadeguato "firewall" creato dagli Stati membri contro la crisi del debito, può invece compiere tale impresa con successo mentre si lavora allo sviluppo di una Unione Bancaria. Essa deve comprendere un'autorità centrale Ue per la supervisione del sistema bancario, un sistema di liquidazione e ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e un sistema europeo di garanzia dei depositi.

Per allentare la morsa della crisi del debito si deve creare un Fondo europeo "di redenzione" a difesa della zona euro. La sua natura temporanea (20-25 anni) non esige un cambiamento dei Trattati, mentre i suoi benefici sarebbero immediati visto che farebbe risparmiare miliardi di euro a tutt'oggi buttati in eccessivi rendimenti sui titoli del debito. Questo fondo rappresenta il vero "firewall" di cui l'Ue ha bisogno nell'immediato per porre fine al contagio e ripristinare la fiducia nei mercati. Perché permette di emettere obbligazioni europee per un valore di 2.300 miliardi di euro, manualizzando il debito che sfora il 60% previsto dai Trattati di tutti quegli Stati membri che si impegnano a intraprendere riforme strutturali e a rispettare i vincoli di bilancio. Nel frattempo si deve dare avvio alla sviluppo di un reale mercato di eurobond, sfogo naturale di una moneta unica.

Per ridare invece ossigeno all'economia serve un'iniziativa europea per la crescita e liberare il potenziale del mercato unico. Di soldi in giro - per il tipo di investimento necessario a provocare uno scatto verso la crescita e convincere le imprese a espandersi e assumere - non ce ne sono molti. Ed è qui che l'Unione europea può offrire i vantaggi delle economie di scala, investimenti e ricerca congiunti, comuni autorità di regolamentazione e accesso ai mercati. Al bilancio dell'Ue non è consentito registrare un disavanzo e beneficia di un rating del credito più favorevole con i creditori internazionali. L'Unione europea può fare uso di molteplici strumenti. Aumentare il capitale della Banca europea per gli investimenti, introdurre project bond su scala più ampia, e non per un misero ammontare di 230 milioni come appena lanciato, ridurre o eliminare temporaneamente il co-finanziamento da parte degli Stati Membri per ottenere i fondi strutturali e di coesione.

Si può convertire il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria in un fondo per la crescita, mentre si assicura un pieno sfruttamento di tutti i fondi europei esistenti. Inoltre, non bisogna dimenticare che il mercato unico europeo è uno dei pilastri della prosperità europea. L'aumento degli scambi ha incrementato il benessere nell'Unione del 10% del reddito nazionale, pari a circa 8000 euro annuali per famiglia. Il completamento della mercato unico non può quindi essere rimandato.
Per sostenere questo progetto comune, la centralità delle istituzioni europee nel processo decisionale è fondamentale, ma la sua realizzazione sarà assicurata solo se gli Stati Membri saranno in grado di esprimere finalmente quella Unione politica tanto sperata. La situazione è troppo grave per non accettarlo.
Guy Verhofstadt è presidente del Gruppo dei Liberali e Democratici per l'Europa al Parlamento europeo. È stato primo ministro belga per nove anni e autore nel 2006 del libro «Gli Stati Uniti d'Europa»

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