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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 24 giugno 2012 alle ore 16:05.

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Pochi mesi fa, quando ho assunto la carica di presidente del Parlamento europeo, ho lanciato l'allarme sui gravi rischi che corre il progetto europeo, sotto minaccia come mai prima d'ora.
Negli ultimi quattro anni abbiamo applicato teorie convenzionali a una situazione non convenzionale: abbiamo visto che stava arrivando lo tsunami e abbiamo deciso che il modo migliore per reagire era aprire gli ombrelli.
Uno degli elementi di questo approccio è l'idea che dobbiamo rimanere fedeli al metodo dei progressi limitati e discontinui che tanto successo ha conosciuto in passato. La massima di Schuman è valida in tempi normali, ma questa crisi esige misure drastiche.
L'Europa non è stata fatta in un giorno, ma potrebbe scomparire in breve. I leader della Ue dovrebbero sempre agire sulla base dello scenario più pessimistico e fare quel che serve per evitarlo, senza preoccuparsi del proprio destino politico personale.

La via scelta in questa crisi è stata un misto di negazione della realtà, miopia e navigazione a vista, senza piani organici. Ricordo ancora quanto tempo ha impiegato l'ex presidente del consiglio italiano per ammettere che esisteva una crisi; lo stesso atteggiamento è stato usato per i nodi del settore bancario europeo. Ogni volta che c'era un segnale di miglioramento, grazie a iniezioni di liquidità o a risultati elettorali positivi, ne abbiamo approfittato per procrastinare.
Questo corto respiro della politica nazionale ed europea è stato uno dei fattori alla base degli errori di giudizio. Il fatto di consentire alle forze di mercato di fissare agenda e reazioni di panico alle loro oscillazioni è un altro errore. Quello che vogliono i cittadini è una prospettiva: ci chiedono di creare le condizioni per tutelarsi, di fare le scelte giuste per il loro futuro e di farle adesso, di consentire ai cittadini di fare scelte e investimenti giusti per la propria vita.
Due le alternative: un balzo in avanti in senso federalistico o la disintegrazione, la prosperità tutti insieme o la povertà ognuno per sé, un'Europa adeguata per il XXI secolo o un'Europa del Congresso di Vienna.

Tutti si riempiono la bocca con la parola "Unione". Sentiamo dire che per far funzionare l'unione economica e monetaria c'è bisogno di un'unione politica, di un'unione di bilancio e di un'unione bancaria. Queste tre unioni supplementari sono frenate da tre domande concomitanti: quale dev'essere fatta per prima? Quali caratteristiche devono avere? A chi si devono applicare? Ecco il ricco menù alla tavola del vertice.
Il Parlamento europeo in passato ha espresso la sua posizione su tutti e tre gli argomenti. Se le nostre risoluzioni fossero state tradotte in pratica prima, ora non saremmo tanto in difficoltà. Un'unione politica più forte, intesa come ulteriore rafforzamento dei poteri della Commissione europea ma anche come rafforzamento della sua legittimità attraverso l'elezione diretta, con un Parlamento democraticamente eletto che esamina, controlla, emenda e rigetta le sue decisioni o le sue proposte, sono gli obiettivi dell'unione politica del futuro. L'unione politica è la più ambiziosa di queste tre unioni e deve riguardare tutti gli Stati.

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