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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2012 alle ore 16:58.

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L'attuale situazione mondiale di incertezza economica, politica e sociale sembra essere contraddistinta da una sempre maggiore ed evidente disuguaglianza tra il potere economico, che aumenta concentrandosi nelle mani dei pochi, e i sistemi democratici che attribuiscono ai più un fragile potere politico. Si inserisce poi, a rompere ogni possibile equilibrio, una realtà evidente: non molto in politica può essere realizzato senza il denaro; e ciò vale sia per il successo dei singoli, sia per la realizzazione del bene comune e della giustizia sociale, come vorrebbe la democrazia.

A livello dei singoli e del loro successo nelle elezioni, anche prima dell'era della televisione e della rete, il denaro doveva essere raccolto per pagare i salari e le organizzazioni, le comunicazioni e le pubblicità, i viaggi, i pranzi elettorali, le riunioni e le conferenze di partito. Queste varie attività sono da tempo state indicate sotto la rubrica del "fund-raising", la raccolta dei fondi privati, ai quali poi si aggiungono quelli pubblici, elargiti dallo Stato. Che queste strutture, divenute indispensabili all'esercizio della democrazia, siano state oggetto di uno spaventoso fenomeno di corruzione è argomento di quotidiane denunce, delle quali l'Italia non pare seconda a nessuno.

Ma è altrettanto evidente che anche la politica degli Stati è ormai economicamente dominata da una élite estremamente minoritaria, che coincide, governandole, con le forze della globalizzazione e dei mercati. Il caso più innovativo, da noi come in altri Paesi recentemente introdotto a livello costituzionale, è il principio della parità dei bilanci dello Stato, che certamente declassa, se non quando abolisce sostanzialmente, altri fondamentali principi di rango costituzionale.

In questa fase storica dei regimi democratici, le regole sovrane del mercato e della contabilità dello Stato sono evocate con enfasi minacciosa come le sole ancore di salvataggio contro la catastrofe incombente. Ed è questa enfasi che induce ad affidarsi e a ritenere per buono qualunque stato di eccezione, che presumibilmente ci possa salvare dall'inferno e dal terrorismo. Si comprende così perché si stia producendo un delirio di massa contro la politica e nel sempre più spaventato "villaggio globale" si vada sgretolando, a livello di ciascun Paese, l'ordinamento giuridico dello Stato, mentre in varie forme le oligarchie economiche riescono dovunque a diventare il regime politico dominante.

È così che ogni qualvolta si costituisca un organismo, un ente o un gruppo sociale, con una individualità e complessità, questo crea un nuovo ordinamento, con una disciplina interna di autorità, poteri, regole e sanzioni. Non è un caso allora che queste organizzazioni sociali siano considerate vere e proprie istituzioni, permesse e mantenute in vita dal diritto da un lato, e creatrici esse stesse dall'altro di diversi ordinamenti giuridici. L'esempio classico che si era soliti fare era quello della Chiesa, e insieme ad esso, di diversi ordinamenti sociali o politici, nazionali o internazionali, che negavano in modo evidente che lo Stato fosse l'unico sistema del mondo giuridico.

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