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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2013 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2013 alle ore 09:38.

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Caro direttore,
nel suo intervento sul Sole 24 Ore del 5 gennaio ("I troppi rischi di una scelta che può rivelarsi inadeguata"), Michele Tiraboschi, già influente e apprezzato consulente del ministero del Lavoro nel precedente Governo, esprime un sostanziale disaccordo sulle linee-guida in materia di tirocini formativi e di orientamento, in corso di approvazione in seno alla Conferenza Stato-Regioni (ai sensi dall'art. 1 della legge di riforma del mercato del lavoro).

L'articolo declina essenzialmente quattro ordini di critiche.
In primo luogo, si paventa che, in considerazione delle "nuove rigidità del mercato del lavoro" introdotte dalla recente riforma, i tirocini formativi possano divenire una sorta di "comoda via di fuga", volta ad aggirare di fatto il "sostanziale giro di vite" imposto alle tipologie contrattuali flessibili, anche vanificando l'auspicato rilancio dell'apprendistato. Questa "fuga verso lo stage" determinerebbe rischi di vuoti disciplinari specialmente nelle regioni sfornite di adeguato sistema normativo.

In secondo luogo, si critica il metodo poco partecipativo che avrebbe caratterizzato l'iter di adozione delle linee-guida e, in particolare, l'inadeguato livello di coinvolgimento delle parti sociali. Si sarebbe, in particolare, omesso di considerare che qualunque disciplina in materia dovrebbe prendere le mosse dal "pieno e convinto consenso delle imprese chiamate ad ospitare i tirocinanti".

In terzo luogo, si critica la scelta (propria della legge) di introdurre "una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta". Si tratterebbe, secondo l'autore, di una sorta di falso rimedio contro la piaga del lavoro gratuito che non risolverebbe i problemi sul tappeto, ma ne creerebbe anzi di nuovi, determinando una sorta di "spiazzamento" dell'apprendistato e una impropria assimilazione fra le finalità formative tipiche degli stages e vere e proprie "prestazioni lavorative", alle quali si farebbe addirittura riferimento nella legge di riforma.

Infine, l'intervento in esame sarebbe affetto da un vizio di fondo, perché trascurerebbe il fatto che, nell'ambito di un tipico rapporto di tirocinio, il vero corrispettivo per il beneficiario è rappresentato dalla formazione ricevuta, mentre qualunque dazione economica (diversa da un mero "rimborso spese") costituirebbe un elemento di fatto antisistemico.

Pur nel rispetto di queste opinioni, mi permetto di non condividerne la ratio di fondo.
Quanto alla prima critica, essa mi sembra così sintetizzabile: se la legge di riforma ha inteso contrastare la "flessibilità cattiva", che divora le aspettative di lavoro delle giovani generazioni, e se alcuni imprenditori disonesti, messi "all'angolo" da norme rigorose, tentano ulteriori escamotages per avvantaggiarsi indebitamente della debolezza delle giovani generazioni, la colpa è della legge, priva di sufficiente realismo.

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