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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 11:46.

Le ragioni per sostenere che Cipro non fa precedente sono tante e sono evidenti le ragioni per le quali in questi giorni non si è fatto che elencarle e ribadirle.
La vicenda che Cipro sta attraversando è irripetibile – si è inteso dire – e quindi non c'è contagio possibile per una malattia che è tutta figlia dell'isola e dei suoi problemi. Non è da oggi che Cipro è un paradiso fiscale e bancario, che attira danaro pagando interessi impensabili altrove.

Lo è ora per gli oligarchi russi, ma lo era stata vent'anni fa per i gerarchi jugoslavi e quello che caso mai può stupire è come le sia stato possibile continuare ad esserlo dopo il suo ingresso nell'eurozona e dopo i guai in cui, facendo le stesse cose, si era cacciata l'Islanda anni fa.
Certo si è che avere un sistema bancario con una ricchezza di svariate volte superiore al prodotto interno lordo è una autentica anomalia. Così come lo è – ha scritto qualcuno – essere riusciti a cumulare in un solo piccolo paese i difetti, messi insieme, di Islanda, Irlanda, Spagna e Grecia.
Troppo anomalo, dunque, per fare precedente e per contagiare altri, tanto nel male quanto nelle misure adottate per rimediare al male. E forse questa seconda cosa – la irripetibilità dei rimedi – era quella che più della prima interessava mettere in circolazione. I paesi debitori possono augurarsi che sia davvero così e con tutta probabilità lo è per i termini specifici della soluzione cipriota, un pesante rastrellamento dei depositi bancari che fra l'altro avrebbe un ben diverso sapore quando riguardasse il risparmio diffuso di un paese e non ricchezze altrui sontuosamente custodite e vezzeggiate.

C'è qualcosa però che potrebbe fare precedente e che potremmo quindi ritrovarci davanti. È quella che vi legge Charlemagne, dell'Economist, chiamandola «l'esasperazione degli stati creditori». Critichiamo quanto vogliamo - ed è giusto farlo - le parole al riguardo del presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, ma è esattamente questa esasperazione ciò che egli ha inteso esprimere. Certo, Cipro ha offerto un'occasione straordinaria per farla valere: ma ora ogni debitore sa che dovrà giocarsi in primo luogo le ricchezze di cui dispone, quali che siano, per sistemare i suoi debiti. Solo allora arriverà un aiuto europeo. E sarà non l'Europa, ma il gruppo degli Stati più forti a decidere il se e il come.
Non entro qui in opzioni e dettagli tecnici. Voglio attirare l'attenzione dei lettori sul vero e proprio disfacimento a cui condanneremmo l'intera costruzione europea in un futuro segnato da rapporti fra gli Stati membri con i tratti che emergono dalla vicenda di Cipro. Fra di noi soltanto un logorante negoziato che riguarda le azioni per ridurre i debiti pubblici, il "governo" europeo che manca di ogni efficace strumento per sostenere le economie dei paesi impegnati in tale riduzione, i paesi più forti che dettano le condizioni agli altri in un clima in cui cresce l'ostilità reciproca e cresce la nostalgia della sovranità monetaria perduta. Insomma, l'eurozona è vissuta come una gabbia e, come ha scritto Martin Wolf sul Financial Times e sul Sole 24 Ore del 27 marzo, riemergono i vecchi timori che l'euro, lungi dal rafforzare l'unità europea, finisca per minarla.

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